SK 3: L’Anima e l’Universo prima di Platone III

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Ciò che era in principio, è ora e sempre nei secoli dei secoli (Bibbia)

Minerali, il regno della chimica inorganica: il regno più vicino all’origine e allo spirito che anima tutto, secondo le iscrizioni del tempio di Luxor in Egitto. Nella visione moderna della scienza il regno minerale è l’ultimo gradino del carro, materia inanimata, Terra che si fa terra, e pertanto assai poco degna di considerazione. La visione degli antichi egizi ribalta la prospettiva, mettendo l’Uomo Regale all’ultimo posto della scala, il gradino ultimo della creazione. Tra i due poli gli egizi pongono due altri gradini evelotuvivi, i numeri puri che corrispondono al regno vegetale, le combinazioni e la geometria dei numeri, il regno animale. Due medi tra i due estremi, il nostro amico Platone forse non ha poi scoperto niente di nuovo…

Ma torniamo ai pre-platonici, e in particolare a Parmenide di Elea (515 – 450 aC), colui che per primo in Occidente ha teorizzato pienamente qualcosa di assai simile al velo di Maya, l’illusione che nasconde la vera natura dell’essere umano. Per Parmenide, infatti e in perfetta analogia con il sistema del Samkhya, i sensi sono ingannevoli e le cose sensibili pure illusioni: l’Uno è il soro essere vero, avente forma sferica, invisibile, infinito e ominipervasivo, non può essere suddiviso in porzioni più piccole. Le sostanze sono per Parmenide indistruttibili, ma possono assumere forme diverse, essendo il soggetto costante di predicati nominali variabili.

Vac: parola, nome. Un nome che per Parmenide è sempre quello di qualcosa che è stato pensato e per questo stesso fatto è. Se se ne può parlare, questa cosa indicata dal nome deve esistere ora, essere esistita nel passato o esisterà nel futuro: non c’è quindi divenire, nel senso che ciò che è deve esistere in tutti i tempi.

Ciò che era in principio, è ora e sempre nei secoli dei secoli (Bibbia)

Pensiero, parola e linguaggio fluiscono in un unicum ininterrotto. La conseguenza diretta di questa visione è che non ci può essere trasformazione delle cose, perché altrimenti ci sarebbe un istante in cui ‘nasce’ un nuovo nome, un inizio temporale della nuova cosa. Le parole per Parmenide hanno un significato costante in sé, ma che può assumente sfumature diverse per le varie persone in quanto diverso è il modo di pensare di ognuno. Questo mutamento individuale dei significati delle parole è ciò che genera le percezioni, a loro volta generanti i ricordi che si depositano nella memoria. Vac, la parola-nome, non è quindi interessata – per Parmenide – intrinsecamente dal concetto di verità/falsità del suo significato. Il trasformarsi dei significati è piuttosto una conseguenza del mutamento dei processi mentali delle singole persone. Questa visione della mente del filosofo greco introduce un forte parallelismo con il ruolo di Citta, il magazzino delle memorie che raccoglie tutti i samskara, le impressioni che si accumulano nel corso dell’esistenza e che determinano il divenire di ognuno. Memorie che possono risorgere alla superficie in base a stimoli esterni, così come per Parmenide il passato continua ad esistere anche nel presente, poiché se ne può parlare. In questo contesto, la memoria diventa una fonte di conoscenza, il ricordo induce la descrizione di ciò che è avvenuto in passato.

Empedocle, nato ad Agrigento nel 440 aC, aveva manie di grandezza, tanto da considerarsi un dio. E’ il primo a teorizzare il fatto che l’aria sia una sostanza a se stante, ed è un antesignano nel preconizzare diversi fenomeni scientifici quali la respirazione e la forza centrifuga, sempre in relazione all’elemento aria e al comportamento dell’acqua in un secchio. Anche i suoi elementi di astronomia sono notevoli: il filosofo agrigentino ipotizza per primo che la Luna risplenda di luce riflessa, come pure il Sole (ma quest’ultimo sappiamo non essere vero) e che la luce impieghi un tempo velocissimo per viaggiare, tanto veloce che è impossibile accorgersi che si sta muovendo. Empedocle ha fondato una importante scuola italica di medicina, che influenzò anche Platone e Aristotele.

Ma la teoria più importante per cui Empedocle viene ancora oggi ricordato è senza dubbio quella dei quattro elementi – terra, acqua, fuoco e aria – che per la prima volta si trovano riuniti quali costituenti fondamentali dell’universo. Elementi sempiterni, ma che si possono mescolare in diverse proporzioni dando luogo alle diverse sostanze che costituiscono il mondo come lo conosciamo, e che a differenza dei quattro elementi hanno una durata transitoria.

Per la verità, i quattro elementi di Empedocle sarebbero più correttamente sei, visto che il filosofo considera alla stregua di elementi/principi naturali anche l’amore, che li combina, e la discordia, che li separa. Solido, liquido, aeriforme e pura energia che si fondono o si dividono sulla base di affinità elettive, che allo stadio più elevato – in cui prevale solo amore – corrisponde alla mitologica età dell’oro che trova rappresentazione della dea Afrodite. Il ciclo delle cose è un susseguirsi di trasformazioni guidate dal caso, non da necessità, in modo finalistico e oscillante perennemente tra i due estremi: dalla totale prevalenza di amore alla totale prevalenza della discordia, passando attraverso tutti gli stadi intermedi, per poi invertire l’andamento e tornare al puro amore.

Secondo il Sofista di Platone, unire i due principi opposti dell’Uno e dei Molti è la via più sicura da perseguire, in quanto l’intero Essere è costituito contemporaneamente da entrambi. Amicizia e ostilità sono le “colle” che tengono uniti o separati – a seconda dei casi – i Molti. Le Muse, interpreti dell’animo umano, si dividono tra quelle che tengono una rigida posizione di contrapposizione perpetua tra i due principi opposti di odio e amore, e quelle che invece ne perorano l’alternanza in un gradiente continuo. l’amore porta pace e unità, la discordia porta divisione e guerra.

Uno e Molti, Purusha e Prakriti che si fondono nella miriade di manifestazioni naturali dell’essere: manifestazioni in continua trasformazione sotto la spinta dei guna: dove forse rajas potrebbe corrispondere ad amore, l’energia positiva che tutto muove , mentre tamas potrebbe essere vista come la discordia, la stasi spesso dovuta a repulsioni o attaccamenti che blocca la trasformazione. Quest’ultima trova compimento in Sattva, l’unione dei due principi rajas e tamas, dell’Uno e dei Molti che è tenuto insieme dall’ostilità e dall’amicizia.

Suggestioni empedocliane possono far pensare anche a qualcosa di simile alla legge del karma e alla reincarnazione nel momento in cui il filosofo teorizza l’esistenza di un oracolo della Necessità che fa si che l’anima – demone vaghi molto a lungo, rinascendo sempre in forma diversa, lontano dalle ‘dimore dei beati’ qualora la condotta di vita si sia dimostrata cattiva e necessiti pertanto di una fase di purificazione. Purificazione che passa di un susseguirsi di solvae et coagula in cui gli elementi si alternano in un ciclo molto simile ai passaggi di stato che danno luogo a diverse densità delle forme materiali, fino alla pura energia e ritorno.

Cosa succede quando un demone della discordia attualizza i suoi effetti nefasti nella vita umana? L’oracolo della necessità, imperitura proiezione del supremo principio divino, avvia un’opera dei purificazione relegando il demone peccatore a vagare per diecimila anni tra continue reincarnazioni, senza possibilità di accedere alle dimore dei beati. Gli incessanti movimenti dei quattro elementi – tra acque degli oceani, fuoco solare, venti impetuosi e arida terra – giocano a ping pong con lo sventurato, respinto ora di qua ora di là.

Un ciclo a cui non è esente neanche il filosofo stesso, ma che anzi è parte della sua ascesa spirituale. Il saggio che riesce ad astenersi dal peccato per la durata di più reincarnazioni, infatti, progredisce lungo il cammino fino all’eterna felicità, esce dal mondo – caverna pieno solo di ombre delle cose per ricongiungersi al luminoso mondo della vera realtà. Un idea ripresa da Platone, ma anche quantomai somigliante al cammino verso la liberazione finale, il samadhi, attraverso la progressiva rimozione del velo di Maya, che offusca la realtà delle cose, teorizzato dalla filosofia indiana negli Yoga Sutra di Patanjali.

Per Platone, i saggi si frammischiano ai mortali assumendo di volta in volta le vesti di profeti, cantori, matematici, ecc. Essi sono onorati dalla gente comune alla stregua degli dei dell’Olimpo, coi quali condividono la tavola. Essendo essere già perfettamente realizzati, inoltre, i saggi sono esenti dalla sofferenza umana.

Forse sarà  stato pensando proprio alla luce eterna della saggezza che lo stava attendendo, alla finale liberazione dalla sofferenza che affligge l’uomo, che Empedocle decise di terminare la sua vita gettandosi nel cratere dell’Etna.

Anassagora di Clazomene prosegue la tradizione scientifica della filosofia ionica. Parlano degli elementi, dice che tutto è divisibile all’infinito e che gli oggetti appaiono essere composti da quella sostanza che contengono in maggiore quantità. Per Anassagora il vuoto non esiste, c’è l’elemento aria anche dove sembra non esserci nulla. A un livello ancora più sottile, il quinto elemento – l’etere – è anch’esso presente in tutte le cose dotate di vita ed è proprio ciò che le rende diverse dalla materia bruta, inanimata. L’etere è per Anassagora infinito, non si mescola con nulla ed è soggetto solo all’auto-governo. All’origine del movimento vi è lo spirito, che induce una rotazione primaria che poi si estende a tutto l’universo, spingendo le cose più leggere verso la periferia e quelle più pesanti verso il centro. Lo spirito – nous è contenuto in modo uniforme nell’uomo come negli animali; ciò che distingue il genere umano è la disponibilità delle mani. Anassagora conclude che sono tali differenze corporali a indurre le apparenti diversità di intelligenza. Dal punto di vista vedico, del resto, le mani sono uno dei cinque Karma Indriya, gli organi di azione che mettono lo spirito – Purusha a contatto con il mondo esterno, e più in particolare sono l’organo che permette all’uomo di ‘fare’, di agire in modo diretto sulle cose.

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