SK 16: Il corpo umano come via di conoscenza

Gli antichi Re conoscevano la filosofia senza tempo dello yoga, parte della tradizione vedica. Filosofia poi dimenticata, e rivelata di nuovo da Krishna ad Arjuna…il supremo segreto (Bhagavad Gita, cap. 4)

La creazione del corpo mortale dell’uomo da parte degli dèi visibili, per Platone, parte dalla testa, che ha forma sferica e, pertanto, caratteristiche divine (T 44D). La testa domina l’intero corpo, che è creato in una fase seguente, “concesso” affinché sia al servizio della testa per superare tutte le difficoltà che altrimenti essa avrebbe nel muoversi, potendo solamente rotolare. Per ovviare a questo problema, il corpo viene dotato di gambe e braccia, che si possono “distendere e ripiegare” , e che permettono al dio che le ha create di camminare (T 44E, 45A). Propio come i Karma Indirya, che permettono di compiere le azioni della quotidianità. Platone considera la parte anteriore del corpo più ” dignitosa” di quella posteriore, e quindi degna di comandare (T 45A): per questo motivo l’uomo cammina in avanti ed è in questa zona che sono posti anche gli organi di senso, che partecipano al governo del corpo. Essi sono stati collegati al volto “per ogni previdenza dell’anima“.(T 45B).

Il Vastu purusha mandala, il progetto "architettonico" dell'uomo
Il Vastu purusha mandala, il progetto “architettonico” dell’uomo (credits:satyadarshan.net)

Per il sistema vedico, il corpo umano rappresenta un vero e proprio progetto architettonico, che a livello di corpo umano è rappresentato dal Vastu purusha mandala, la forma personale di Vastu. Il sistema architettonico del Vastu Vidya è citato nel poema epico Mahabharata ed è da sempre utilizzato sia per le singole abitazioni che per la pianificazione urbanistica, dei templi e finanche quella degli altari, che sono orientati e disposti in modo analogo al mandala. Nel mandala, il quadrato rappresenta l’ordine divino, mentre il corpo umano, compresso in forma circolare, rappresenta il disordine della realtà materiale. Ogni casella in cui è diviso il mandala è abitata da un semi-dio del pantheon indiano, che viene così installato nel corpo umano. La casa progettata secondo tali principi diventa un vero e proprio organismo vivente, in quanto animato dal Vastu purusha, l’anima individuale della casa. L’approfondimento dell’architettura Vastu esula da questa trattazione del Samkhya, e meriterebbe una sezione dedicata vista la sua complessità e gli intrecci con le funzioni dell’organismo-persona che in essa vi abita.

Vista, la regina dei sensi

Rappresentazione alchemica dell'occhio umano (Heinrich Kuhnrath - Amphitheatrum sapientiae aeterna, 1602)
Rappresentazione alchemica dell’occhio umano (Heinrich Kuhnrath – Amphitheatrum sapientiae aeterna, 1602)

A differenza del Samkhya, che non crea alcuna gerarchia tra i cinque organi di percezione, gli Jnana Indriya, Platone e tutta la filosofia greca assegnano una funzione preminenete alla vista, in quanto questo è il senso che permette all’uomo di vedere i movimenti degli astri, e quindi di avere la cognizione del numero  e del tempo, che derivano proprio dall’alternarsi di giorno e notte e degli altri movimenti celesti, come già discusso. Gli occhi sono, per Platone, il tramite che permette di coniugare e unificare in un unico flusso il fuoco esteriore del Sole (di cui lasciano filtrare solo la luce più pura) con quello interiore. Il filosofo si dilunga nello spiegare come nasce la sensazione visiva e come essa possa causare perturbazioni del sonno (T 45C). Quante volte succede che non si riesca a dormire perché le immagini disturbanti della giornata appena finita continuano a turbinare sullo schermo visivo, anche se è buio e le palpebre sono chiuse?

Cos’è la vista, si chiede Platone? Il tocco visivo dona vita alle parti del corpo da esso toccate, ne risveglia la capacità di percezione, alimenta il continuo paragonare le cose e veicola alla mente le sensazioni che ne derivano (T 45D)

Dipinti del monastero di Nyetang Dolma Lhakhang - Shigatze (credits: Giuliana Miglierini)
Dipinti del monastero di Nyetang Dolma Lhakhang – Tibet (credits: Giuliana Miglierini)

Con la notte, quando si spegne il fuoco esteriore, le palbebre sigillano e assicurano quello interiore come in un mudra, che tine al sicuro, all’interno, la potenza del fuoco (T 45E). Questo è proprio il concetto yogico del mudra come sigillo dell’energia.  Quando avviene questa “sigillatura” e compare il sonno, se i movimenti interni sono” uniformi” per Platone si è in una situazione di tranquillità e i sogni sono leggeri.

Ma se invece le immagini, rimaste all’interno sottoforma di impressioni, generano movimenti troppo violenti, essi possono produrre “fantasmi” che abitano le parti del corpo interessate, e che possono tornare alla memoria anche una volta svegli (T 46A).

Di nuovo, il parallelo con la visione vedica appare lampante: è inevitabile che i sensi veicolino all’interno un continuo flusso di impressioni (smrtti). Se esse non sono legate a particolari emozioni o attaccamenti, quelli che per lo yoga sono i klesha, si può permanere in uno stato non disturbato, di tranquillità, che si manifesta in primo luogo in una buona qualità del riposo. Quando, viceversa, le impressioni hanno lasciato tracce profonde, seppur inconsce, magari sepolte in qualche zona del corpo legata ad un’azione o una parola particolare, il sonno è disturbato da movimenti molto intensi, da sogni che producono “fantasmi”, le vrtti della mente, che ricompaiono anche da svegli sottoforma di memorie profonde, i samskara. Sono proprio tali memorie che, per il Samkhya, determinano il destino dell’anima nel ciclo delle rinascite. Negli Yoga Sutra (YS I 6, 11, 43) Patanjali fa riferimento alle smrti in quanto processo mentale del ricordare, legato all’agitazione della mente (citta vrtti smrti). Per l’Hatha Yoga Pradipika (HYP IV 110), nello stato di samadhi non vi è più né ricordo né oblio. In YS IV 9 aggiunge che le vrtti che si generano da un samskara sono esse stesse samskara, impressioni profonde legate a potenzialità di comportamento o di coscienza, che possono essere innati o acquisiti. I samskara innati derivano da esperienze vissute nelle vite precedenti, quelli acquisiti provengono dalla quotidianità. Anche le vasanas, gli atti volontari della coscienza, sono samskara, come pure il merito (dharma) e il demerito (adharma), in quanto apportatori di piacere o dolore.

Il gioco degli specchi

Il fuoco naturale e il fuoco dei filosofi (Raimondo Lullo)
Il fuoco naturale e il fuoco dei filosofi (Raimondo Lullo)

Le immagini si formano, per Platone, come in un continuo gioco di specchi che riflettono e distorcono la realtà (T 46 A B). Per questo motivo, quelle che comunemente vengono ritenute le vere cause delle cose sono in realtà solo cause ausiliarie, che sono al servizio del demiurgo per riuscire a rendere il più possibile compiuta “l’Idea dell’ottimo” (T 46D). Le sensazioni generate dalla vista, quindi, sono ingannevoli, non corrispondono alla prima causa che ha generato l’Idea, la manifestazione della natura. Queste cause ausiliarie sono prive d’intelligenza, caratteristica precipua solo dell’anima. Chi desidera perseguire la conoscenza, per Platone, deve quindi investigare dapprima “le cause della natura intelligente” e solo dopo le cause delle cose generate nel mondo (T 46E).

Il corretto agire, quindi, si basa sempre e unicamente sull’uso dell’intelletto discriminante, mentre l’agire a casaccio è tipico di chi altrettanto a casaccio pratica il pensare (T 46  E)

Per Platone, quindi, bisogna essere consapevoli della differenza che intercorre tra le cause “naturali” delle cose e quelle invece mediate dalle sensazioni, che continuano a produrre frutti in modo disorganico, così come i klesha continuano ad indirizzare in modo fallace l’agire in questa vita e allontanano dal contatto con la manifestazione naturale. L’ignoranza (avidya) è la madre degli altri quattro klesha, che da essa derivano. Un’ignoranza circa le corrette modalità di conoscenza del proprio vero Sè e dei rapporti di questo con l’intero universo, che genera illusione (asmita), attaccamento (raga) o repulsione (dvesa) verso cose, luoghi e persone, o eccessivo attaccamento alla vita (abhinivesa).

Jnana yoga

Cosmologia secondo i Rosa Croce (Museum Hermeticum, Francoforte, 1677)
Cosmologia secondo i Rosa Croce (Museum Hermeticum, Francoforte, 1677)

La vista ha per Platone una funzione fondamentale: quella di vedere gli astri, gli dèi visibili (T 47B). È proprio il “ragionamento” sui loro movimenti che per il filosofo greco apre la porta alla conoscenza della vera natura dell’universo.

La filosofia è per Platone una forma superiore di speculazione, un  dono degli dèi la cui pratica conduce al bene supremo (T47B)

I cicli celesti corrispondono ai movimenti ciclici dell’intelligenza. Per questo l’uomo può servirsi di questa osservazione mediata dalla vista per correggere il continuo fluttuare dei pensieri nella mente (T 47C).

Se l’uomo diventa in grado di trarre insegnamento e ragionare in modo retto e conforme alla Natura, in modo analogo al principio divino, diventa per lui possibile correggere le “circolazioni  erranti” del proprio pensiero (T 47 C). Una volta di più, Platone propone una via di conoscenza, quella della speculazione filosofica, comune anche alla tradizione indiana dello Yoga. Una speculazione che ha come fine ultimo la calma del movimento continuo della mente (YS I, 2), che altro non è che il samadhi.

 I sensi ” minori”, tra musica e parola

Danza di Apollo con le Muse (Palazzo Pitti, Firenze)
Danza di Apollo con le Muse (Palazzo Pitti, Firenze)

Un ruolo di minore importanza rivestono, per Platone, voce e udito, ma non di meno il filosofo greco trova anche per essi un posto centrale come mezzo per la vera conoscenza. Un Karma e uno Jnana Indriya che, per Platone, sono stati creati con lo stesso scopo della vista (T 47D). Una particolare rilevanza è posto nel suono musicale, “che ci è stato dato all’udito in ragione dell’armonia“. Quest’ultima, come già visto, prende vita dalle proprozioni dei cicli celesti, quindi è in grado di porre in comunicazione uomo e natura. Un’armonia che è anche affine ai cicli dell’anima che sono all’interno dell’essere umano.

L’armonia è alla base di tutto l’universo, e permette anche di ritrovare nei momenti bui la naturale “intonazione” dell’anima, che viene tramite esa accordata proprio come si accorda uno strumento. Il ritmo, con il suo ordine e regolarità, aiuta a rimettere in riga le situazioni in cui si è persa la “misura” delle cose (T 47D-E)

Il divino monocordo (Robert FLudd)
Il divino monocordo (Robert Fludd)

Musica e ritmo, quindi, come strumento per calmare la mente perturbata, per ricondurla allo stato naturale di quiete che è proprio dell’anima. Musica che non è puro piacere dei sensi, ma alleata preziosa. Musica, ma forse anche parola che si fa ritmo, anche se Platone non la cita apertamente: mantra, vibrazione ritmica musicale e sonora, ma anche pura vibrazione interiore che per lo yoga svolge un ruolo fondamentale come oggetto di meditazione su cui portare la mente agitata per ricondurla in contatto con la vera forma dell’essere, il Sé-anima che risiede nella calma interiore. Ritmo non solo musicale, ma anche corporeo: i ritmi vitali del cuore e del respiro. Quest’ultimo portatore dell’energia vitale, ciclico fluire di nascite e morti sul quale le impressioni mediate dai sensi possono arrecare quattro diversi tipi di difetti: la superficialità, che impedisce al respiro di aprire la porta verso i livelli più sottili dell’essere, di agire da veicolo nel viaggio attraverso i cinque corpi; la comparsa di increspature, alterazioni che “agitano” il percorso regolare dell’onda respiratoria; il rumore, suono disarmonico del respiro che allontana dal suono naturale e fisiologico del respiro, il mantra So Ham, “Io sono quello”; le pause estese, che interrompono la regolarità dei cicli repsiratori e lo rendono disordinato. Il pranayama, la scienza del respiro, e il mantra yoga, che per gli Yoga Sutra è uno dei mezzi con cui è possibile conseguire i poteri-siddhi YS IV 1), sono due delle vie, tra loro sinergiche e complementari, che lo yoga offre per ritrovare al proprio interno la vera natura dell’uomo. Il mantra So Ham si forma dalla recitazione rapida del mantra hamsa, in cui ham (l’espiro) viene prima di sa (l’inspiro): la vita inizia quindi con un espiro, che permette di espellere l’eccesso di anidride carbonica per far spazio all’ossigeno. Il mantra yoga, secondo le Upanishad dello yoga, attraverso la ripetizione continua è in grado di trasformare il respiro in auto-realizzazione. Questo, riportano i testi, avverrebbe nel canale centrale sushumna, lungo il quale si innalza il mantra Om, il mulamatra radice di tutti i mantra.

© Nisbacat – RIPRODUZIONE VIETATA

Lascia un commento