Il primo principio che si può ammettere per la compositione de Misti è uno spirito universale che essendo sparso da per tutto, produce diverse cose secondo le diverse Matrici overo Pori della Terra ne quali si trova rinchiuso: Ma essendo questo principio alquanto metafisico, e non soggiacendo à sensi, è bene di stabilirne de sensibili, e per questa ragione addurrò quelli che communemente sono in uso. (dal Corso di Chimica del Signor Nicolò Lemery ch’insegna il modo di far l’Operationi che sono usuali nella Medicina con Metodo facilissimo et Ragionamenti sopra ciascuna Operatione – edizione di Bologna, Giulio Borzaghi, 1700)
Prima di procedere oltre con lo studio del Timeo platonico e delle sue relazioni con la filosofia naturale vedica penso sia importante fare un passo indietro e analizzare, seppur molto brevemente e in modo necessariamente limitato alla filosofia naturale e a qualche elemento di cosmogonia, le principali teorie sviluppate dai filosofi greci che hanno preceduto Platone. Come sempre nello sviluppo del pensiero, infatti, le nuove teorie sono nate via via per confutare le precedenti. Non si tratta di decidere quale filosofo ci abbia visto meglio degli altri, ma piuttosto di capire come gradualmente i diversi elementi si sono tra loro intrecciati e amalgamati, fino a dar luogo al pensiero platonico e aristotelico, che hanno costituito la visione fondante del pensiero occidentale fino a Newton. Per quest’analisi mi sono in gran parte basata sul testo classico ‘Storia della filosofia occidentale’ di Bertrand Russell (ed. Tea). Come sempre, cercherò di sottolineare i possibili parallelismi con la visione yogica.
Da Babilonia all’Egitto alla Grecia pre-classica
La prima cosa importante da evidenziare è che l’intera filosofia greca ha risentito, molto probabilmente, fin dall’inizio di influenze provenienti dai paesi confinanti di più antica civiltà, in particolare dalla Persia dei Sumeri e dall’Egitto. A loro volta tali tradizioni potrebbero, secondo molti studiosi, aver risentito di influenze provenienti dal continente indiano, dove i Veda avevamo all’epoca già trovato una loro precisa strutturazione. Ritroviamo in Egitto l’importanza della condotta di vita nel determinare il destino dell’anima dopo la morte, fino ad un possibile ritorno nel corpo. Iside e Osiride erano gli dei principali, mentre presso i Babilonesi rivestiva grande importanza la Dea Madre Ishtar, personificazione della Terra (a cui si affianca, ma con un ruolo molto più defilato, il dio Toro). La figura della Dea Madre è talmente importante che la si ritrova in varie forme in pressoché in tutte le tradizioni, dalla greca Diana – Artemide a Maria fino alla dea Shakti o a Lalita Tripurasundari della tradizione indiana, in quanto simbolo di potenza creatrice e fertilità.
Non a caso Artemide è la dea principale della civiltà minoica, dove anche il toro (simbolo maschile per eccellenza) riveste un ruolo centrale nelle corride, eventi ancor aggi fortemente simbolici. La religione primitiva dei greci, a Creta come a Micene, è ancora incentrata sull’elemento naturale, sul sacrificio – umano, animale, vegetale – come mezzo per accrescere la fertilità della Terra. E’ in questo ambito che nasce il primo culto di Pan-Ermete, il dio-pastore. Tutti gli dei del pantheon greco, come anche quelli indiani, sono dei umanizzati, che differiscono dall’uomo comune solo per i poteri di cui sono dotati e per l’immortalità. Non sono essi i creatori del mondo, lo hanno solo conquistato grazie ai poteri di cui dispongono. Potremmo forse leggere in questo un parallelo con gli dei del pantheon induista, anch’essi profondamente umani, e coi saggi yogi che grazie alla pratica sviluppano le siddhi, i poteri che permettono di raggiungere l’illuminazione e la liberazione dai legami dei sensi e del mondo. Poteri che però possono anche rappresentare un pericolo e un ostacolo sulla via della liberazione, se non usati in modo appropriato. Anche in questo caso mi viene spontaneo il parallelo con Bacco – Dioniso, dio di origine tracia anch’esso al centro di un culto di fertilità. Nella sua versione originaria, l’ebbrezza alcolica tipica dei culti dionisiaci era vista come un potere divino, un’esperienza mistica che fa riscoprire il piacere e la bellezza per la vita e libera dalle preoccupazioni quotidiane; il culto di Bacco si inserisce in uno stile di vita che esalta gli elementi naturali, primitivi, istintuali dell’uomo, tramite i sui rituali uomo e dio si fondono diventando un unicum.
L’Orfismo recupera molti aspetti dell’originario culto di Bacco, ma sostituisce all’estasi alcolica un’estasi mistica. Originario di Creta, Orfeo era un sacerdote e filosofo che molto viaggiò, entrando in contatto con la civiltà egiziana di cui accoglie le dottrine sulla trasmigrazione dell’anima dopo la morte a seconda delle azioni compiute in vita: verso l’eterna felicità se sono state azioni positive, verso l’eterna sofferenza in caso di azioni negative. La purificazione rituale ha un ruolo centrale nell’orfismo come nella tradizione indiana, in quanto permette all’uomo di ‘rimuovere’ la sua parte terrestre per divenire tutt’uno con dio, la sua parte celeste. La via è indicata nell’abbeverarsi dalle acque del Mnemosine, il lago della memoria (v. tavola di Petelia): anche qui un lavoro di ascesi mentale verso una consapevolezza di grado superiore all’ordinario che ricorda molto la purificazione delle memorie delineata da Patanjali negli Yoga Sutra. Per gli orfici l’anima non è un semplice alter-ego del sé, ma qualcosa che va ricercato al di là della mera corporeità fisica. L’abbeverarsi nel Lete, invece, conduce all’oblio: potremmo forse intravedere un parallelo con i klesha, i fattori irritanti, che ci tengono legati al mondo esterno facendoci dimenticare del nostro vero essere, l’universo interiore, l’unione con il divino che nell’orfismo viene raggiunta attraverso l’ebbrezza spirituale e la conoscenza mistica, che potremmo paragonare al Samadhi. Anche l’orfismo vede la vita come un continuo ciclo di nascite e morti, come una sofferenza che va rimossa attraverso la purificazione, ottenuta attraverso l’ascesi. E’ una religione iniziatica basata sulla rivelazione, come molte tradizioni orientali, che è rimasta molto in disparte nel quadro della civiltà greca, ma i cui elementi sono sopravvissuti e trasmessi nella successiva tradizione ermetica.
La scuola di Mileto
La nascita della filosofia classica greca viene fatta convenzionalmente risalire alla scuola di Mileto, città dell’Asia Minore, i cui principali rappresentanti sono stati Talete, Anassimandro e Anassimene.
Talete (640/625 aC circa – 547aC), uno dei sette saggi della Grecia classica, ha viaggiato in Egitto e a Babilonia, da dove ha riportato molte conoscenze in materia di astronomia e geometria. Famoso per i suoi teoremi matematici e per la predizione di una eclissi nel 585 aC, usa l’osservazione come base per lo sviluppo delle sue teorie, anche se in verità per i greci non si può parlare di metodo scientifico in quanto la conoscenza rimane sempre per lo più teorica, non comprovata da esperimenti e dallo sviluppo delle successive teorie. Sul piano cosmogonico, per Talete l’acqua è la migliore delle cose.
Anassimandro (610 aC circa – 546 aC) ipotizza che tutte le cose derivino da un’unica sostanza primigenia, che è eterna, infinita e abbraccia tutti i mondi differenziandosi a seconda della necessità nelle varie sostanze materiali. Parla di tre elementi – fuoco, aria e acqua – il cui equilibrio è stabilito dalla necessità e dalla legge naturale. Ogni elemento ha una propria caratteristica precipua: l’acqua è umida, il fuoco caldo, l’aria fredda; la sostanza primigenia, al contrario, è neutra e li comprende tutti. La terra si forma per evaporazione dell’acqua umida, dando luogo alla nascita degli esseri viventi, che discendono tutti dai pesci. I tre elementi in equilibrio ‘di necessità’ assomigliano molto ai tre Guna. Non mi dilungo sui possibili parallelismi con il mito indiano di Matsyendra, il pesce diventato uomo che ha imparato lo Hatha Yoga da Shiva e lo ha quindi insegnato agli uomini
Anassimandro è il primo a proporre – all’interno di un universo fatto di mondi non creati, ma in continua evoluzione – qualcosa che assomiglia molto alla legge del karma o di causa-effetto:
Le cose nascono e quando muoiono tornano “secondo necessità” al luogo da cui sono originate, in quanto risentono degli effetti che hanno esercitato in questa permanenza terrena
Anassimene (586 aC circa – 528 aC), astronomo e meteorologo allievo di Anassimandro, parla dell’aria come della sostanza fondamentale, che costituisce l’anima. Da essa derivano gli altri elementi, a partire dal fuoco (che è aria rarefatta), quindi l’acqua, la terra e la pietra, forme sempre più condensate di ‘aria’. Mi sembra molto importante rilevare come l’aria, il respiro, sia individuato da Anassimene come ciò che unifica l’intero universo:
L’anima è fatta di aria e “tiene insieme” il corpo umano; analogamente, il respiro e l’aria inviluppano in un abbraccio il mondo intero
Anche qui vi è piena analogia di vedute con il punto di vista yogico, per cui il respiro è la porta di entrata verso l’universo interiore.
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