Il calcolo accurato: la porta di accesso alla conoscenza di tutte le cose ed agli oscuri misteri (Papiro Rhind)
La matematica come forma di conoscenza che porta verso misticismo intellettuale: il succo della scuola pitagorica potrebbe forse essere riassunto in questa breve constatazione. Pitagora (570 – 495 aC) nasce a Samo, città rivale di Mileto; dopo aver a lungo viaggiato in Egitto, si stabilisce infine a Crotone, sede di una importante scuola di medicina. Dai suoi viaggi è probabile abbia portato con sé la conoscenza matematica degli egizi e abbia forse preso ispirazione dalla loro visione della morte e dell’aldilà per sviluppare la propria teoria metafisica. Pitagora, infatti, ritiene il mondo visibile falso ed illusorio, mentre Dio è l’unica unità ed è una unità invisibile. La dottrina pitagorica contiene anche accenni alla reincarnazione delle anime: nulla, infatti, è cosa mai completamente nuova in questo mondo, essendo già esistita in un ciclo precedente. L’anima, di per sé immortale, conferisce vita agli esseri viventi, che nascono dotati di vita in sé. La categorizzazione degli uomini in tre diverse categorie – chi compra e vende, chi gareggia e chi va solo a vedere – istituisce una scala gerarchica di ascesi e purificazione in cui il filosofo rappresenta colui che si è staccato completamente dal vincolo della natura per dedicarsi alla contemplazione e alla conoscenza matematica, che diventa quindi una vera e propria forma di rivelazione mistica.
Per Pitagora il pensiero è superiore al senso e l’intuizione all’osservazione: la matematica pura si fa teoria filosofica e rappresenta la verità disinteressata, eterna ed esatta. Tutto è numero, dove i numeri sono visti come figure geometriche di varie forme. L’aritmetica pone a confronto oggettività e soggettività nel teorema di Pitagora, che introduce il concetto di numero incommensurabile, ovvero che non può essere ricondotto all’unità. Quell’unità invisibile che è Dio e che non può essere colta dai sensi in modo oggettivo, esperienziale. Per Pitagora gol oggetti matematici corrispondono ai pensieri di Dio, sono reali ma fuori dal tempo
Eraclito di Efeso (535 – 475 aC) ritiene che tutto ciò che è nasca dalla morte di qualcos’altro, proprio come il fuoco nasce dal legno che brucia. Il fuoco è per lui la sostanza fondamentale. Morte che da vita, vita che ritorna a morire per vivere ancora in altra forma. L’unità deriva dalla combinazione dei contrari, ed è la cosa più reale, ovvero Dio. Si potrebbe forse leggere in Eraclito una visione della sostanza base dell’universo come energia, che muta continuamente forma dando luogo alle infinite trasformazioni della materia. Una prima velata enunciazione del principio di conservazione dell’energia? Proprio dal fuoco – energia nasce per Eraclito la materia, dapprima in forma di mare (acqua); da questo, a secondo dello stato di condensazione che la materia assume, deriva il vento (aria) o la terra. Sono quindi presenti tutti i quattro elementi, anche se il filosofo individua una sola sostanza fondamentale, estremamente sottile, il fuoco. La visione eraclitea è estremamente somigliante alla cascata verso forme materiali sempre più ‘solide’ delineata dal Samkhya. Altro punto in comune, il pensare l’universo come qualcosa che è in un continuo fluire, in continuo cambiamento. E’ l’unione dei contrari, l’armonizzazione delle opposte tensioni, che crea l’armonia a cui tutto tende.
Per Eraclito, tutte le cose originano da una sola cosa, e questa a sua volta da tutte le cose. Il mondo è uno, e non è stato fatto né dagli dèi né dagli uomini. È un Fuoco eterno, che è ora e per sempre, in una successione di fasi in cui si accende e si spegne. La coppia è un tutt’uno fatto di elementi separati, armonici e discordanti allo stesso tempo. Tutto è uno, e uno è tutto
Per Eraclito l’anima è costituta dal fuoco, che è nobile, e dall’acqua, che invece è ‘ignobile’; la prevalenza di fuoco dà luogo alla cosiddetta anima secca, la più saggia e migliore. Se invece prevale l’elemento acqua si ha l’anima umida, uno stato meno evoluto che guarda al desiderio come molla per la ricerca del piacere. Ma questa ricerca, per il filosofo, è proprio la morte dell’anima, acqua che scorre via. La via verso il potere, la saggezza dell’anima, si basa sull’auto-dominio che permette di combattere il desiderio e la ricerca del piacere. Idea quanto mai simile al ritiro dei sensi, al cammino ascetico, a pratyahara, esattamente come il desiderio è uno dei klesha, i fattori irritanti che ci tengono legati al mondo esteriore.
È difficile combattere i desideri del cuore, che per “comprare” ciò che desidera paga un prezzo a livello dell’anima
La ricerca di qualcosa di permanente, che va oltre il desiderio e il continuo fluire delle cose, è la molla che spinge alla ricerca filosofica. La stabilità è assenza di movimento, continuità: una condizione propria solo di Dio, l’unica forma immortale dell’essere. Dio come Purusha, assenza di cambiamento come vertice dell’ascesi in cui tutto esiste al di fuori del processo temporale che determina il fluire delle cose. Il tempo, per Eraclito, distrugge le cose. Il Fuoco, sostanza fondamentale, dà luogo ad un processo dinamico di continua trasformazione che è di per sé eterno. L’energia non è materia, ma una caratteristica intrinseca del processo fisico che genera il mutamento: il fuoco non è il legno che brucia, ma il è la combustione stessa, il processo che produce nuove forme a partire da una forma di energia condensata nei legami che tengono uniti gli atomi del combustibile. Forme in continuo cambiamento, energia che a sua volta può essere utilizzata per attivare ulteriori trasformazioni
© Nisbacat – RIPRODUZIONE RISERVATA