SK 7: Mente, materia e realtà percepita

La realta percepita è, per la filosofia vedica, nient’altro che la creazione della mente, che immagazzina sensazioni e impressioni grazie ai sensi.

Ci eravamo lasciati parlando di Buddhi e Ahamkara, le prime due funzioni della mente individuale che si evolvono a partire da Mahat, la mente universale. Intelletto discriminante ed ego nulla potrebbero, però, senza l’apporto fondamentale di Manas, la terza funzione mentale, che si evolve da Ahamkara. Manas è la mente sensoriale, quella che ci permette di essere in collegamento con il mondo esterno. Provate a pensare a un computer: è li sulla scrivania, acceso e con tutti i circuiti interni perfettamente funzionanti, ma non succede niente finché qualcuno non si avvicina e inizia a pigiare i tasti sulla tastiera. Ecco, la mente funziona esattamente nello stesso modo. Manas è la tastiera che fa entrare gli input che arrivano da tutto ciò che ci circonda; Buddhi è l’elaboratore che li analizza e decide sulla base dei dati – sia nuovi che di quelli immagazzinati nella memoria – come sia più opportuno agire. Tale decisione è quindi trasmessa ad Ahamkara, che la trasforma in azione.

I 10 sensi

Buddhi, Ahamkara, Manas, jnana e Karma Indriya
I 26 evoluti secondo il sistema filosofico del Samkhya (credits: Giuliana Miglierini)

O per meglio dire 11…Manas stessa, infatti, è un senso, il senso interno, quello che noi chiamiamo il sesto senso. Nella tradizione occidentale, però, i sensi sono cinque, non dieci. Nella tradizione indiana si distinguono i cinque organi di conoscenza o Jnana Indryia e i cinque organi di azione, o Karma Indryia. I cinque organi di conoscenza, la lingua, il naso, gli occhi, la pelle e le orecchie, sono da intendersi come veri e propri distretti corporei, dotati di recettori in grado di riconoscere e ‘legare’ i diversi tipi di stimoli provenienti dall’esterno. Una vera e propria fisiologia ante-litteram, i saggi indiani di cinquemila anni fa di certo non avevano mai sentito parlare di recettori! Tornando al paragone del computer, gli Jnana Indryia sono le periferiche attraverso cui viene immesso l’input.

Quelli che noi chiamiamo i cinque sensi corrispondono piuttosto ai cinque Tanmatra, le facoltà sottili che si generano da Ahamkara e che permettono di ‘tradurre’ il segnale giunto agli Jnana Indryia: sono facoltà che non corrispondono esattamente a un organo o distretto corporeo, ma sono piuttosto collegate alla generazione e trasmissione di impulsi nervosi dal recettore sensoriale al cervello: la capacità di vedere, di sentire, di gustare, di toccare, di odorare. E’ attraverso i Tanmatra che le percezioni sensoriali a livello del singolo organo di senso si trasformano in sensazioni e vengono trasmesse a Manas, la mente sensoriale o senso interno, che a sua volta le invia a Buddhi, l’elaboratore che le analizza. Dai Tanmatra si generano anche i cinque Bhuta, o elementi grossolani, ma di questo parleremo un’altra volta.

Da sensazione ad azione

Come ogni computer, anche la nostra mente ha un magazzino in cui conservare tutti gli input che arrivano. Questo magazzino è Citta, la coscienza individualizzata: ogni segnale che arriva, anche in modo inconscio, alla mente si deposita in questo enorme contenitore, per rimanervi magari nascosto finché qualche evento fortuito lo fa riemergere alla coscienza. Tutti i dati immagazzinati in Citta sono ciò che determina ciò che ognuno di noi è, sia sul piano fisico che mentale.  Anche il solo pensare ad un’azione, senza metterla in pratica, per la visione indiana della mente corrisponde alla generazione di un input che resta depositato in Citta. Se l’azione non viene esperita in modo completo in questa vita, essa genera frutti (i samskara) che influenzano il divenire e il ciclo delle rinascite. Anche di questo parleremo più in dettaglio.

Oggi ci interessa invece capire come si generano gli output del nostro computer. Buddhi, l’Intelletto, analizza tutti i segnali provenienti dagli Jnana Indriya e decide se archiviarli in Citta o se trasformarli subito in azione – output. In questo secondo caso invia l’ordine di agire a Ahamkara, l’Ego, la mente che agisce nel mondo. Come può la mente agire, essendo qualcosa di rarefatto e impalpabile? Attraverso i cinque organi di azione, o Karma Indryia: le braccia, le gambe, la bocca e gola, i genitali e l’ano. Sono le parti del nostro corpo attraverso cui svolgiamo tutte le funzioni essenziali per la sopravvivenza: con le braccia prendiamo il cibo, con le gambe ci muoviamo nel mondo, con la bocca e la gola comunichiamo, con i genitali riproduciamo la specie e con l’ano eliminiamo ciò che non ci serve. I cinque organi di azione sono le periferiche del pc che ci pongono nuovamente in contatto con il mondo esterno, dopo aver esaminato il da farsi, e di ‘essere noi’ rispetto a ciò che ci circonda.

Cortocircuiti mentali

A chi non è mai capitato di sentire, nel profondo, che quello che si è fatto è stato qualcosa che in realtà si sarebbe preferito non fare, si sarebbe voluto agire in modo diverso eppure ciò non è stato possibile? Si tirano sempre in ballo i doveri, le regole della società, e mille altre scuse che creano sensi di colpa a non finire, tralasciando di prendere in esame l’unica cosa davvero importante: capire a livello del nostro elaboratore centrale chi ha deciso di fare cosa. Il nostro centro decisionale è Buddhi, l’Intelletto dotato di discernimento che è sempre in grado di capire e agire di conseguenza secondo gli input che arrivano dalla vita quotidiana. Il problema sorge quando Ahamkara, un tipetto  che vuole avere sempre ragione lui, ignora i segnali di azione ponderati che gli arrivano dall’Intelletto e agisce per i fatti suoi. L’Ego è quello che spesso ci fa agire in modo acritico, abitudinario e standardizzato, basandoci più sugli attaccamenti alle cose positive della vita o alle avversioni per ciò che è sgradevole o porta dolore o paura, che su una reale considerazione di ciò che stiamo vivendo. Questo cortocircuito mentale è la più grande trappola che, per lo yoga e l’intera filosofia vendica, ci tiene intrappolati nell’incapacità di realizzare il nostro vero essere, di lavorare per raggiungere la liberazione, che la si chiami resurrezione, nirvana o samadhi o illuminazione poco importa.

Ma cos’è il vero Essere a cui tutti tendiamo e che solo i grandi saggi riescono a raggiungere? Se avete seguito fin qui il filo del discorso, siamo partiti da un universo immateriale che si è fatto materia, e tale materia si è generata a partire dalla mente, prima manifestazione della Manifestazione – Natura – Prakriti. Cos’è allora quella che chiamiamo realtà, che percepiamo attraverso gli organi di senso e in cui agiamo attraverso gli organi di azione? Non sarà che è solo una creazione della mente? La mente si fa materia; vi rimane intrappolata proprio come nelle sabbie mobili a causa delle mille pressioni esercitate dagli eventi esterni, ma nel profondo c’è sempre un anelito a tornare alla propria essenza originaria, a quell’onda elettromagnetica che rappresenta la vera essenza dell’atomo, all’essere Luce che pervade l’Universo.

Difficile? Beh, un po’ d’impegno è richiesto. Abhyasa, raccomanda sempre il mio maestro dr. Bhole: fai i compiti! Senza una pratica costante rimaniamo invischiati nelle sabbie mobili della quotidianità. Portare lo yoga nella vita di tutti i giorni è proprio questo: riuscire a navigare tra i marosi della vita mantenendo inalterato il proprio stato di pace e benessere interiore, permanere nel nostro vero Sè senza lasciarci trascinare dai richiami dell’ego, essere in ogni istante materia e Luce al contempo

© Nisbacat – RIPRODUZIONE RISERVATA

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