Meditazione profonda sul terzo occhio, respiro equilibrato tra le due narici: è la ricetta per liberare la mente raggiungere la pace eterna (Bhagavad Gita, cap. 5)
Una nassa che respira
Non basta mangiare, l’energia che deriva dal cibo va anche distribuita nel corpo. Gli dèi, quindi, hanno predisposto alla bisogno dei “canali d’irrigazione”, le vene. Il torrente circolatorio trasporta in primis l’elemento fuoco, il più piccolo di tutti, alimentato dal cibo metabolizzato nel ventre in quanto “tagliuzzato” dai triangoli del fuoco gastrico. Il colore rosso del sangue, che trasporta il nutrimento, per Platone deriva dal colore tipico dei triangoli dell’elemento costitutivo (T 80E-81A). Non solo fuoco, le vene trasportano anche l’altro elemento “piccolo”, l’aria (T 78 B).
Platone immagine il sistema circolatorio come una nassa intrecciata, i cui giunchi si diramano dal centro fino all’estremità del corpo. Le nadi sono tradizionalmente 72 mila secondo il Vasişţtha, quanti saranno i giunchi platonici? Il Timeo non ce lo dice, mentre specifica che le sue parti interne (le vene) sono fatte di fuoco, mentre le imboccature (la trachea e l’esofago) sono fatte di aria (T 78C). La forma della nassa, col suo fondo rientrante, richiama quella dei polmoni e del diaframma in posizione di espiro completo.Chissà se Platone si è ispirato direttamente dai pescatori greci o a quelli dell’isola di Ponza per l’analogia?
Il previdente architetto che sovrintende alla progettazione dell’uomo ci tiene che la sua creatura non difetti mai di aria, quindi oltre alla bocca con le sue due entrate (esofago e trachea) ha previsto una seconda porta d’ingresso per il respiro, collegata con la precedente, che in questo modo può anche rimanere chiusa: le due narici.

Le narici sono solo il punto di entrata dei due canali (vene) che scorrono nel corpo lungo la spina dorsale (T77D). Questi canali sono intrecciati e corrono in direzione una contraria all’altra, in modo da creare un secondo collegamento tra corpo e testa, oltre a quello già visto della pelle. Questo perché, specifica Platone, la testa non è rivestita da nervi: i canali della circolazione sanguigna, quindi, le permettono di trasmettere a tutto il corpo le impressioni dei sensi e, viceversa, di ricevere i segnali ricevuti da essi (T 77E).

Canali in tutto simili alle nadi dello yoga, i canali pranici che si intrecciano attorno a sushumna. Le nadi sono in genere paragonate al sistema nervoso autonomo della fisiologia moderna, dove i nervi s’intersecano nei plessi nervosi formando i chakra. I taluni testi della tradizione le nadi sono intese essere viste come passaggi per il respiro e il nutrimento. Le tre nadi principali sono sushumna, ida e pingala, in totale 14 sono quelle a cui i testi (Vasişţtha) assegnano un nome proprio.

Sushumna corrisponde ai centri nervosi del midollo, le altre due a quelli che da esso si dipartono intrecciandosi tra loro, come nel caduceo. L’Hatha Yoga Pradipika e le Upanishad identificano anche ida e pingala come canali respiratori che si originano dalla narici.
La pratica di Nadi Shuddi, in effetti, è una pratica preliminare fondamentale di pulizia (shuddi) dei canali respiratori, fondamentale per rendere pienamente efficace le successive tecniche di pranayama, ovvero la distribuzione dell’energia vitale del prana nel corpo mediata dai vayu. I soffi vitali, infatti, esercitano la loro azione proprio attraverso le nadi. Ida è il canale che scorre alla sinistra di sushumna, fino alla narice sinistra, ed è sede della divinità lunare Chandra/Soma. Pingala, invece, è il canale che corre fino alla narice destra, ed è sede della divinità solare Surya. Che la nassa platonica e le nadi yogiche rappresentino lo stesso concetto, del resto, lo testimonia la comune etimologia che deriva dal sancrito nah = legare, allacciare: le maglie intrecciate della nassa, quindi, ma anche i chakra in cui si intersecano le nadi.
Un ritmo circolare
La parte inferiore della nassa, i polmoni spugnosi, sono alloggiati nella cavità toracica. Da qui, con un movimento ritmico e ciclico, il respiro si muove alternativamente verso l’alto e il basso, in un movimento che si trasmette anche alla circolazione, ad esso collegata, finché dura la vita umana.
Il corpo è “poroso”, secondo Platone, e contiene il “reticolato” dei polmoni, che proprio come un mantice soffiano il flusso dell’aria dentro e fuori senza mai fermarsi finché c’è vita (T 78E).
Il respiro platonico è un respiro che rinfresca e trasporta il nutrimento prodotto dal fuoco, affinché il corpo venga “nutrito e viva” (T 79A). Lo si può intendere, quindi, come energia vitale in modo analogo al prana yogico che viene veicolato nelle nadi. Il prana è uno dei cinque vayu, quello che risale dal petto alle narici, quindi in una regione corrispondente a quella occupata dalla nassa platonica. I testi classici dello yoga interpretano il prana come il riflesso nervoso autonomo che preserva la vita. Per traslazione, negli Yoga Sutra (YS I 34), il prana diventa il respiro vitale, che si nuove circolarmente in un alternarsi di inspiro ed espiro, intervallati da una pausa. La pausa rappresenta il perfetto stadio di equilibrio tra il tutto pieno e il tutto vuoto, ma un suo prolungamento innaturale può risultare in grandi danni per il praticante. Gli otto khumbaka pranayama sono tecniche di controllo del respiro mirate a supportare l’evoluzione verso stati di coscienza superiori, e dhyana (la meditazione su un unico oggetto) è, per la Gerandasamitha, una parte essenziale del pranayama.
Anche gli Yoga Sutra indicano come, attraverso la pratica di pranayama, il controllo del movimento disordinato del respiro costituisca la porta si accesso al quarto stato di coscienza, il turiya che permette la caduta del velo di Maya:
Quando c’è controllo del prana il respiro è lento e regolare, privo di movimenti disordinati. Quando il praticante coglie la quarta dimensione del respiro (il vero significato della pausa tra inspiro ed espiro) si trascende il piano fisico per entrare in una dimensione spirituale e di continua presenza mentale (Yoga Sutra II, 49-53)
La condizione da realizzare a cui fanno riferimento i sutra è quella di asana, ossia il raggiungimento di una situazione dell’essere stabile e comoda. E’ proprio in tale situazione che, secondo il dr. Bhole, si possono abbandonare i comportamenti corticali e volontari del corpo a favore di quelli spontanei, sottocorticali. Emergono così i naturali movimenti del respiro, e amplificati a livello delle pareti del corpo, soprattutto nella zona del tronco. Svasa, l’allargamento delle pareti, è l’esperienza consapevole dei movimenti respiratori che conseguono all’inspiro; prasvasa è l’esperienza consapevole dei movimenti respiratori che conseguono all’espiro. Si fa anche l’esperienza consapevole di come l’energia-prana trasportata dal respiro agisce dentro l’organismo, in completa assenza di sforzo volontario L’esperienza di svasa e prasvasa si ampia con la pratica dal livello fisico a quello mentale ed esperienziale, con lo scopo di attivare la risalita del prana lungo sushumna. Il pranayama, quindi, è l’utilizzo consapevole dell’energia vitale individuale tramite la meccanica del respiro, per rendere la mente più sensibile ad un processo di autorealizzazione.
L’esperienza respiratoria può anche essere vissuta da un altro punto di vista, quello del riempire completamente sull’inspiro (puraka) di energia vitale il khumba, il contenitore del corpo. Un vaso che si riempie dal basso verso l’alto allargando le pareti addominali (svasa), un soffio vitale che è diretto verso l’alto, come dall’alto arriva tutto ciò che entra nel corpo (prana vayu). Il vaso, poi, si svuota sull’espiro (rechaka) dall’alto verso il basso, come l’acqua che esce da una bottiglia. Il corrispondente soffio vitale, apana vayu, è diretto verso il basso, analogamente a tutto ciò che esce dal corpo. Samana vayu, il soffio equilibrante, che distribuisce il fuoco generato nella zona dello stomaco e del plesso solare in tutto il corpo, ha un ruolo del tutto assimilabile alla nassa platonica. Quando puraka e recaka si fondo in un ininterrotto flusso ciclico di respiro senza pause si realizza la terza tipologia di respiro, khumbaka, la piena realizzazione dello yogi. Ad ogni fase del respiro corrisponde anche una divinità e una lettera del mantra AUM. La dea Gayatri presiede allo stadio di rechaka (M), la dea Savitri a quello di khumbaka (U) e la dea Sarasvati a quello di puraka (M).
Il ciclo della vita
Anche Platone dedica ampio spazio nel Timeo per spiegare il meccanismo della respirazione e i suoi effetti. L’espiro deriva dall’aria che fuoriesce dal corpo, spingendo più in là l’aria circostante in un movimento circolare finché, giunto al punto di partenza, si inverte e riempie nuovamente il corpo (T 79B-C). Questo complesso meccanismo funziona, secondo Platone, come una specie di scambiatore di calore dove il fluido trasportato dall’espiro elimina dal corpo l’eccesso di calore prodotto dal fuoco che scorre nelle vene, risucchiando al suo interno l’aria fresca che agisce a mò d’impianto di condizionamento. La continua interconversione del gradiente di temperatura tra aria che entra ed esce dal corpo fa si che le masse d’aria con la stessa temperatura cerchino di ricongiungersi, generando quindi il ciclo del respiro (T 79D-E). Ciclo del respiro e ciclo della vita, quella umana e quella universale, per Platone sono intrinsecamente connessi in quanto caratterizzati dal movimento circolare.
Riempimento e svuotamento dei polmoni avvengono secondo le normali regole dell’universo, il simile va verso il simile (T 81A)
I cicli del respiro ridistribuiscono di continuo, fin dalla nascita, gli elementi nel corpo. All’inizio i triangoli elementari che lo costituiscono sono in ottime condizioni, danno luogo a “vigorose connessioni” e il corpo cresce. La crescita è anche collegata a una quantità di particelle che entra nel corpo maggiore di quella che ne esce. Ma, come per tutte le cose materiali, anche i triangoli pian piano si consumano con l’avanzare dell’età a causa delle “lotte interiori” con gli altri triangoli, ha inizio l’invecchiamento. Quando la radice che tiene uniti i triangoli a formare i diversi organi e tessuti si rescinde, essi non sono più in grado di “tagliare” i triangoli provenienti dai cibi, che prendono il sopravvento e l’organismo inizia a deperire (T 81C-D). Il modo in cui si rescindono gli ultimi legami che tengono legata l‘anima nel corpo è fondamentale per Platone affinché essa possa venire “liberata secondo natura“.
Una volta liberata, l’anima è libera di volare via. Un processo piacevole, per Platone, in quanto avviene “secondo natura” (T 81E)
Anche se non lo dice apertamente, sembrerebbe che anche per Platone una buona qualità del respiro possa aiutare un distacco sereno e privo di dolore da questo mondo, conducendo a una morte “secondo natura”, priva di dolore ma anche di attaccamento alla vita e ai suoi piaceri, che è anticamera della liberazione finale dell’anima. Gli yogi avrebbero realizzato in questo momento la perfetta sospensione del respiro, khumbaka, e avrebbero lasciato il corpo fisico nello splendore del loro mahasamadhi.