SK 11: Punti, i pilastri della creazione

La Tetraktis contiene la radice del flusso eterno della creazione. Dall’Uno al Quattro, e da qui al Dieci, che contiene la chiave di tutte le cose. Pitagora, Hiéros logos, la parola sacra 

Un punto iniziale da cui tutto si espande e a cui tutto prima o poi tornerà. Punto: ancora solo idea adimensionale della sfera che si espanderà dal suo centro in infinite dimensioni. Idea di mondo che contiene in sé tutte le possibilità di vita, ancora allo stato potenziale; eppure sono lì, aspettano solo di differenziarsi in manifestazione sensibile. Punto, per Platone unità fondamentale da cui tutto si origina “secondo l’esemplare” e che contiene in se tutti gli “animali intelligibili”. Un punto, e poi due: una retta. Poi tre, un triangolo. E quattro, un quadrato…e oltre tutte le figure geometriche che dall’unione di punti si generano, tanto care ai pitagorici come a Platone.

L’universo è stato generato unigenito, ora e sempre  (T 31 B)

Punto di partenza, ma anche di arrivo. Punto di convergenza, spiega Swami Jnaneshvara – maestro della tradizione himalyana – tra contemplazione, meditazione, mantra e preghiera.

Tutti gli esseri sono nati dai semi piantati nella matrice eterna del cosmo (Bhagavad Gita)

Per risalire al seme, al Se, la Gita indica che bisogna trascendere le tre qualità prodotte dalla legge di Natura: purezza, passione e ignoranza. Per arrivare al seme, insegna swamiJ, bisogna trascendere i sensi e l’esperienza mentale (pensiero) della sensazione, per risalire alla sorgente di tutto, della luce (Joytir/Tejos bindu) e del suono (Nada bindu). Punto di convergenza anche tra le tre grandi correnti filosofiche che sottendono alla pratica yoga da diversi punti di vista. Non importa quale via si scelga, quella del Raja, Yoga o del Bhakti Yoga, dello Hatha Yoga o dello Jnana Yoga o altre ancora: le pratiche sono solo strumenti per arrivare a un livello più elevato, al punto di convergenza tra le diverse tradizioni che hanno elaborato il fine dello yoga. La tradizione degli Yoga Sutra, dove la pratica del mantra Om è uno strumento centrale di autorealizzazione: il punto sulla lettera sanscrita indica il quarto stato di coscienza, Turiya, il raggiungimento della Pura Coscienza, dell’Assoluto.

Lo Sri yantra che raffigura la Tripura Sundari (public domain, Wikipedia)

La tradizione del Vedanta, che approfondisce la contemplazione del mantra Om (e della lettera che lo rappresenta) analizzando nel dettaglio i quattro stati di coscienza: veglia, sogno, sonno profondo e turiya. La tradizone del Tantra (Samaya Tantra), e in particolare al suo interno quella dello Sri Vidya, che simboleggia nel bindu centrale dello Sri Yantra l’unione di Shiva e Shakti, gli opposti che si fondono e il raggiungimento dell’Assoluto (rif. Swami Jnaneshavara, Bindu: Pinnacle of the Three Streams of Yoga, Vedanta and Tantra, www.swamij.com). Lo Sri Yantra va costruito, contemplato, meditato dal centro alla periferia, e poi di nuovo al centro: così la coscienza si eleva verso la non identificazione, verso il puro Sè.

Uno

La creazione a partire dal Bindu (Rajastan, 1700)

L’unigenito Figlio di Dio che si é fatto uomo a recare testimonianza materica del regno dei Cieli. Un solo cielo colmo di stelle che si é generato da un densissimo ammasso di energia nel momento del Big Bang: un ammasso talmente denso da avere dimensioni infinitesime, di fatto assimilabili a un punto.
Un Purusha che tutto contiene e a partire da cui da cui tutto si manifesta. Al suo centro il Bindu, punto di forza da cui, secondo il Tantra, si genera la manifestazione della Natura, Prakriti.

Un Bindu che è anche il centro della ruota del divenire, e di ciascuno dei sette chakra, i loti energetici che, a seconda della apertura più o meno accentuata dei loro petali, regolano il fluire delle energie sottili nel corpo e determinano di conseguenza la stabilità della persona, il ruolo che essa svolge in questa vita, l’autostima e la capacità di esprimere le proprie potenzialità e perseguire i propri obiettivi, la capacità di vivere le emozioni e di relazionarsi col mondo, in sostanza di vivere una vita più o meno realizzata e felice. Affinché il serpente arrotolato Kundalini possa risalire dal primo chakra, alla base del bacino, lungo il canale di sushumna attraversando tutti i chakra, questi ultimi devono essere liberi da ostruzioni che ne impediscano l’apertura. Dal punto di vista materico, i cinque elementi Maha Bhuta sono i costituenti dei primi cinque chakra e possono essere purificati con la pratica di Bhuta Shuddhi, la purificazione degli elementi. La purificazione permette di ‘perforare’ il bindu posto al centro di ciascun chakra, che viene così superato e trasceso: l’energia di Kundalini è libera di dispiegarsi pienamente per guidare la persona verso il suo vero Essere.

Due

Tutto ciò che è stato generato ha natura materiale, visibile e tangibile (T 31 B)

L’Immanifesto che si fa Manifesto: Prakriti, Natura che non é più uno, non é prodotta, é ancora radice indifferenziata, ma già producente. Di non prodotto né producente c’è solo l’Uno: la Natura da esso deriva per dare  luogo a tutte le infinite forme dell’esistente.

Due: Fuoco, energia, che non potrebbe essere tangibile senza la Terra solida, la legna che l’alimenta. Fuoco e Terra, i primi due elementi generati dal Demiurgo, secondo Platone. Anche per la Bibbia la Creazione ebbe inizio per separazione dei cieli dalla terra, della luce dalle tenebre. E prosegue per coppie di opposti, sempre di due stiamo parlano: polarità che a vicenda si annullano e si complimentano, nell’eterno gioco delle parti. Il loro matrimonio completa l’Opera, il Samadhi è raggiunto, la pietra filosofale svelata.

Heinrich Nollius, Il Rebis (Theoria Philosophiae Hermeticae, 1617) (public domain, Wikipedia)

Due: effetto che é presistente alla causa, in quanto quest’ultimo é già contenuto in potenza nella causa stessa. Della serie: la gallina è nata prima dell’uovo, in quanto già intrinsecamente contenuta in esso. Uovo pasquale, all’interno di cui si compie l’ascesa, la trasmutazione del piombo in oro: la materia grossolana si trasforma attraverso la pratica (sadhana) e lo studio di sé (svadhiaya), con l’ardore (tapas) che spinge lungo il cammino e illumina la via. Così cade il velo di Maya, e il praticante può riscoprire il suo vero . In questo senso, per lo yoga lo ‘scollegarsi’ dal mondo esterno attraverso il ritiro dei sensi (pratyara) può essere visto un po’ come un ritorno verso la condizione originaria (bhramacharya) indifferenziata, dove tutto è uno: l’ ‘uovo’ da cui siamo originati.

Tre

I tre guna si interpenetrano a formare tutte le cose

Tre sono gli elementi costitutivi, secondo il Samkhya, le qualità prodotte dalla legge di Natura e che, combinandosi tra loro, generano il Manifesto (Prakriti, la Natura indifferenziata). I tre GunaSattva (la purezza, che genera saggezza, felicità, equilibrio, quiete e permette all’uomo di evolversi), Rajas (la passione, che genera l’azione, l’infelicita, l’avarizia, e blocca l’evoluzione) e Tamas (l’ignoranza che genera la follia, l’inerzia, l’infatuazione e porta alla perdizione) – sono perfettamente equilibrati in Prakriti (si veda il pannello centrale del Rajastan, sopra). Purusha è solo produttivo, e dalla combinazione dei tre elementi costituivi in equilibrio tra loro genera Prakriti, che è prodotta e produttiva.

L’immanifesto, Purusha, è la causa prima dell’intera manifestazione, che da esso deriva in un flusso continuo sotto la spinta dei tre guna (SK 16)

I tre elementi costituitivi si mescolano poi a generare l’infinita varietà dell’esistente, grazie alle “differenze inerenti e ciascuno” che, a seconda del prevalere di uno o dell’altro principio, genera questa o quella cosa, così come l’acqua prende sapori diversi a seconda di quello con cui viene in contatto.

La Trimurti: Shiva, Vishnu e Brahma (pubblico dominio, Wikipedia)

Tre sono anche gli dei-avatar che simboleggiano le qualità della materia nella Trimurti: Vishnu-Sattva (il conservatore), la virtù, la saggezza superiore, il ‘signore dell’Universo’, l’acqua che sostiene la vita;  Shiva-Tamas (il distruttore), il fuoco dell’ignoranza, colui che trasforma e allontana dalla vera conoscenza di Sè, dalle possibilità di auto-realizzazione; Brahma-Rajas (il creatore), la passione creatrice, la Terra da cui tutto nasce.

Le tre teste del drago rappresentano i tre principi alchilici, Zolfo, Mercurio e Sale

Ai tre Guna fanno da contraltare occidentale i tre principi alchemici. Il Sale corrisponde alla materialità, al corpo fisico, in analogia a Tamas, e deriva dall’unione di Terra e Acqua, è ciò che rimane al termine delle operazioni di calcinazione o dissoluzione . Lo Zolfo, principio maschile, corrisponde a Rajas, è l’elemento che dinamizza, che muove, che attiva la trasformazione; unione di Acqua e Aria, corrisponde ai corpi respiratorio, emotivo, mentale, è l’Anima. E’ il principio fecondatore, l’unico in grado di fissare il Mercurio, principio femminile, sottile e sempre in movimento come il Fuoco, che simboleggia lo Spirito. Il Mercurio è il messaggero degli dei, non a caso simboleggiato nel caduceo in modo analogo alla Kundalini che risale nella nadi centrale sushumna, affiancata da quelle laterali, ida e pindala.

Tre sono anche i mezzi di conoscenza che, per il Samkhya, permettono di entrare in sincero contatto con la realtà:

La percezione, la deduzione e la testimonianza degna di fede sono i tre mezzi di vera conoscenza, che contengono al loro interno tutti gli altri  (SK 4)

La percezione, in particolare, permette di conoscere la realtà attraverso la mediazione dei sensi (SK 5) ed è al centro della pratica dello yoga, che attraverso la purificazione dei canali sensoriali permette di ristabilire modalità di comunicazione e introiezione dei dati provenienti dal mondo esterno, deprivate da colorazioni che ne potrebbero alterare il significato e generare attaccamento, avversione o altri klesha.

Tre, infine, sono i principi prodotti e producenti, gli evoluti che si generano da Prakriti per azione dei Guna (SK 3). Per la verità, i Tanmatra, gli elementi sottili, sarebbero cinque (quindi in tutto sette principi), ma al fine dell’attività produttiva possiamo considerarli come categoria unica. Il primo principio a formarsi è Buddhi, l’intelletto, il livello più rarefatto e sottile della mente, che viene prodotto in modo diretto da Prakriti. Buddhi è la mente analitica, che  decide  come sia opportuno agire per vivere al meglio nel mondo. Buddhi è la mente che si pone un obiettivo e lo persegue; è il livello mentale tipico della saggezza, di chi osserva il fluire delle cose in modo distaccato e senza attaccamento, dei mistici che vivono in contemplazione. Buddhi produce Ahamkara, il senso dell’Io, che traduce in azioni le decisioni dell’intelletto. A volte, però, Ahamkara non segue diligentemente le indicazioni superiori e agisce di testa sua: è allora che si sviluppa l’egoicità e l’egoismo, fonte di tutti gli attaccamenti. Da Ahamkara, infine, si generano i cinque elementi sottili, o Tanmatra: suono, tatto, colore, sapore, odore. Sono elementi sottili o meglio, come insegna il dottor Bhole, facoltà della mente di percepire i suoni, i colori, eccetera. Sono per il momento ancora solo facoltà, che necessitano del successivo passaggio evolutivo per trasformarsi negli elementi grossolani.

Quattro

Dalla infinita composizione della parti, sempre sotto l’Azione dei Guna, si generano tutta le cose (pannello inferiore Rajastan). Quattro sono le categorie di evoluti prodotti ma non produttivi: Manas, la mente sensoriale, i cinque Karma Indriya (organi d’azione), i cinque Jnana Indriya (organi di senso) e i cinque Maha Bhuta (gli elementi grossolani). Di essi abbiamo parlato già diffusamente in un precedente post, non mi dilungo se non per dire che sono i costituenti della materia grossolana con cui abbiamo abitualmente a che fare (Maha Bhuta, che nel linguaggio corrente possiamo identificare con gli stati solido, liquido, gassoso, con l’energia e con lo spazio da essi pervaso), gli organi di senso che permettono di percepirli, la mente sensoriale che raccoglie i dati della percezione (il senso interno, sesto o undicesimo a seconda di quale tradizione di considera) e gli organi di azione che permettono di agire nel mondo in base agli input di Ahamkara, per muoversi, agire, parlare, riprodursi ed eliminare ciò che non serve al mantenimento dell’organismo.

Quattro come la Tetraktis, la tetrade sacra dei pitagorici. Quattro anche come gli angoli retti del quadrato (che ha anche quattro lati uguali); angolo retto talmente i portante per la scuola pitagorica da essere definito “il conoscitore” (gnomone) e le cui proprietà geometriche sono racchiuse nel celebre teorema di Pitagora. La tetraktis pitagorica è costituita dai primi quattro numeri, 1,2,3,4, che – come recita la preghiera riportata all’inizio – esprimono  in forma simbolica il legame tra l’Uno e il Tutto, il 10 che ne è la somma e che “detiene la chiave di tutte le cose”.

Il numero quattro, peraltro, può anche essere medio in una proporzione geometrica (2 : 4 = 4 : 8), proporzione geometrica che per Platone è il “il più bello dei legami”, in grado di esprimere tutto in modo sublime (T 31C).

I quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco (D. Stolcius von Stolcenberg, 1624, Viridarium chymicum, Frankfurt am Main) (public domain/Wikipedia)

Il medio dona profondità, terza dimensione, all’universo, collega fuoco e terra attraverso la mediazione di aria e acqua. La proporzione diventa terra : acqua = acqua : aria = aria : fuoco. I quattro elementi che per Platone costituiscono il corpo del mondo, perfetto, non soggetto a vecchiaia o malattia, un Tutto che racchiude in sé tutte le cose (T 33B). Ma questa è Prakriti, dove i tre Guna sono ancora in equilibrio: aria e acqua, elementi fluidi sempre in movimento, fanno da mediatori, come Rajas, tra la solidità di Tamas-terra e la spiritualità di Sattva-fuoco.

La parete Nord del monte Kailash (credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Ondřej_Žváček, Wikipedia, CC BY 2.5)

Quattro anche come i fiumi sacri (Indo, Sutlej, Brahmaputra, Karnali) che nascono dal monte Kailash, l’Olimpo asiatico, anch’esso dimora degli dei, che incarna nel mondo materiale il Monte Meru, l’asse del mondo che collega cielo e terra. Il Kailash, situato dietro la catena principale dell’HImalaya nell’altopiano tibetano, è la montagna sacra e meta di pellegrinaggio per quattro diverse religioni, quelle induista, buddista, bon e giainista. I quattro fiumi sacri dell’Asia richiamano ai quattro fiumi descritti dalla Genesi:

Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. (Genesi 2, 10-14)

Rimanendo nell’altipiano tibetano, una zona culla di una delle culture più antiche del pianeta, ancor oggi sulle porte delle povere case così come nei monasteri buddisti e bon, nei templi induisti, sull’incipit dei libri, sulle statue di Buddha stesso, ricorre il simbolo di buon auspicio della svastica, la croce a quattro braccia da cui si dipartono uncini che ruotano in senso orario (buddismo e cultura indiana) o antiorario (cultura bon pre-buddista). L’etimologia del termine sanscrito richiama ad uno stato di buono (su) essere (as): la svastica è, quindi, simbolo di buona salute, eternità, armonia universale, del collegamento tra Uno (il bindu centrale) e Tutto (le quattro braccia). Un simbolo che si ritrova in molte culture, anche in occidente (ad esempio nelle croci celtiche), e che solo nei tempi recenti ha assunto una connotazione negativa per essere stato adottato a rappresentare l’ideologia nazista. La svastica è di fatto un quadrato, anche se aperto, e richiama anche alla croce a bracci uguali diffusa in molte tradizioni cristiane. Anche nella croce l’angolo retto è la chiave geometrica, giocata questa volta come “snodo” che dal punto-bindu centrale genera le quattro braccia nelle diverse direzioni.

Quattro, infine, sono i principi di base al quale si dovrebbe attenere il buon medico, i pilastri della medicina secondo Paracelso (Das Buch Paragranum): la filosofia, che permette di conoscere l’essere e il divenire; l’astrologia, che permette di riconoscere le qualità, le predisposizioni delle cose, in collegamento a quelle di stelle e pianeti; l’alchimia, che permette di operare per trasformare la materia e purificarla, per evolvere verso stati di sempre maggiore purezza; la virtù, che guarda al lato spirituale della cura, al retto agire nel mondo e a quel “affidarsi a qualcosa di superiore”, che è parte centrale anche del cammino yogico. Le virtù yogiche si trovano riunite nei cinque Yama, le astensioni (Ahimsâ – la non violenza, Satya – la verità, Asteya – non rubare e non cercare privilegi, Brahmacharya – il risalire all’origine, Aparigraha – il non possesso) e nei cinque Niyama, le osservanza (Sauca – la purezza,  Samtosa – l’appagamento, Tapas – l’ardore della ricerca, Svâdhyâya – lo studio di sé e del Sè, Îsvara pranidhâna – l’abbandono al principio superiore). Per Paracelso, il fine della medicina è prettamente spirituale, la salvezza umana, e non “tecnicista” come invece per la medicina moderna. Un fine non dissimile da quello dello yoga, esso stesso una filosofia tradotta in pratica, e che attraverso tale pratica permette di purificare la materia-uomo e di evolvere nel cammino verso l’essere pienamente sé stessi: il primo, fondamentale pre-requisito per la buona salute, fisica e mentale.

© Nisbacat – RIPRODUZIONE RISERVATA

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