Sarva-Mangala-Maangalye / Shive Sarvaartha-Saadhike / Sharannye Triambake Gauri / Naaraayanni Namostute (Devi Mantra)
A te, il miglior auspicio tra i buoni auspici, o consorte di Shiva, che soddisfa tutti i nostri propositi, Il nostro solo rifugio, Gauri dai tre occhi, ci inchiniamo alla Signora Narayani.
La seconda parte del Timeo platonico torna ad analizzare più nel dettaglio la struttura del cosmo e le cause che lo generano, scendendo nel particolare della genesi degli elementi. Il cosmo, dice Platone, è il risultato di una “mescolanza di necessità e intelligenza” (T 48A): solo quando la seconda prevale, le cose generate evolvono in modo positivo. Questo evolvere, però, non può prescindere dal considerare anche la “causa errante“, ovvero la casualità disordinata che determina le trasformazioni della materia (T 48B).
Per comprendere il modo di agire della causa errante è necessario approfondire la natura e la generazione dei quattro elementi, che sono alla base della manifestazione della Natura. Solo la capacità di una visione d’ordine superiore dei principi che regolano l’universo permettono tale tipo di comprensione, che rimane preclusa ai comuni mortali (T 48 B-C)
Non solo, quindi, i quattro elementi non sono né le lettere né tantomeno le sillabe che costituiscono l’essenza delle cose materiali: il filosofo sottolinea come pure il normale metodo d’indagine non sia adeguato a mettere in evidenza il vero principio dell’universo, un principio che non si può esprimere a parole (T 48 C). L’unico metodo adeguato di conoscenza, dice Platone, è il “ragionamento probabile” (T 48 D), che come abbiamo già visto corrisponde all’inferenza del Samkhya.
Il ricettacolo e gli elementi sottili
Come abbiamo già esaminato, Platone aveva diviso la creazione in due generi: il primo, l’esemplare, è eterno, non causato, invisibile, sempre identico, intellegibile; è il Purusha, l’Artefice stesso che si pone come lo scopo di creare l’universo a propria immagine. Il secondo, l’immagine, l’imitazione dell’esemplare, è visibile e generata (T 49 A). Ora Platone introduce un terzo genere, “difficile e oscuro“, che serve per poter pienamente comprendere gli altri due attraverso il ragionamento.
Proprio tale categoria, la più complessa da penetrare, è quella che funge da “ricettacolo” dei principi che generano la potenza della Natura (T 49 A-B)

La potenza della natura, nutrice di tutte le cose generate, di cui alimenta le continue trasformazioni: questa è Mula-Prakriti, la prima manifestazione che si pone ancora a livello invisibile, Avyakta. Platone torna a riconsiderare le trasformazioni degli elementi grossolani, fuoco, acqua, aria e terra, che, proprio come avviene nei cicli geochimici di carbonio, azoto, fosforo o nel ciclo dell’acqua (solo per citare alcuni esempi), passano attraverso livelli diversi di condensazione e “fissazione”, dando luogo a un continuo rinnovarsi delle cose che costituiscono la realtà materiale (T 49 C).
In questo senso, la natura-radice Mula-Parkriti è il ricettacolo di tutte le cose generate, che da essa prendono vita, e che si trasmettono in un circolo senza fine che continua a rigenerare gli elementi (T 49 D)
Anche Platone, come il Samkhya, fa a questo punto una distinzione tra elementi grossolani e sottili: come si fa infatti, si chiede il filosofo, a dire che una certa cosa è fuoco o acqua, se in realtà le cose sono in continua trasformazione, e vengono percepite dai sensi non come elemento puro, ma come materia sensibile? (T 49 D). Non si può dire che “questo” è fuoco, ma solo che è “tale“ come il fuoco, o come uno degli altri elementi (T 49 E): la cosa generata possiede una qualità interna che l’assimila in qualche modo alle caratteristiche specifiche di quell’elemento, anche se sul piano sensibile l’elemento non è visibile in quanto tale. Questa caratteristica sottile è presente immutata in tutte le cose, si trasmette attraverso i cicli delle generazioni: le cose (fatte degli elementi grossolani, maha bhuta) non sono sono stabili, ma soggette a continua trasformazione; esse contengono all’interno l’essenza caratteristica dell’elemento sottile, il tanmatra, la qualità/capacità che permette di percepire la presenza dell’elemento. Gli elementi sottili sono presenti nelle cose in diversa gradazione, una presenza percepibile come qualità sottile che caratterizza le cose generate, che assumono invece una forma specifica e hanno vita finita, e che quindi possono venire indicate con gli attributi “questo” e “quello” (T 49E-50A). Gli elementi, quindi, sono per Platone più da intendersi nella loro natura sottile, che sottende alla struttura profonda dell’essere, mentre le cose generate hanno solo caratteristiche fenomeniche, non collegabili con esattezza a questo o quell’elemento. I tanmatra rappresentano il potenziale intra-atomico proprio di un livello poco differenziato della materia, rispetto ai maha bhuta che rappresentano la materia differenziata.

Un atomo (paramanu) dei maha bhuta, secondo il Vyasa-bhasya, è costituito dai tanmatra, così come gli atomi per la scienza moderna sono costituiti dalle varie particelle sub-atomiche. I tanmatra di generano da ahamkara, il senso del’Io, come pure gli undici sensi (SK 24). Più in particolare, è quando il senso dell’Io prende una colorazione tipicamente tamasica, densa e pesante, che da esso prendono vita gli elementi sottili (SK 25). La prevalenza dell’Io sattvico, invece, genera gli undici sensi, ancora caratterizzati da uno stato di assoluta e quieta purezza. Quando rajas, l’Io splendente, “attiva”, dinamizza sia l’Io sattvico che quello tamarisco essi danno origine ai sensi nella loro abituale accezione, in cui è stata attivata la capacità di percezione degli elementi sottili.
Un triangolo di qualità, i Guna, che attivano la materia, esattamente come per Platone il triangolo è la prima figura geometrica corrispondente alla manifestazione fenomenologica, da cui derivano tutte le altre, in un continuo susseguirsi di trasformazioni (T 50B)

Il ricettacolo della natura, specifica Platone, “non esce mai dalla propria potenza“, permane sempre in uno stato potenziale immanifesto che contiene al suo interno la possibilità di generare tutte le cose, senza mai assumere la forma di alcuna di esse (T 50C). Mula- Prakriti altro non è, per Platone, che un’impronta che funge da modello per la generazione delle cose, che ne sono imitazione.
Il principio materiale

Maschio e Femmina, Marte ed Afrodite, / Seme e frutto del mondo naturale / Trasmuteranno in una le due vite, / Nel puro fonte dell’Acqua Mercuriale. // La Natura in ginocchio assiste al rito / Pregando che la prole che ora muore / Ritorni nell’Infante Ermafrodito / Vergine Figlio di un virile amore (Clavis Artis Aurea).
I tre generi vengono meglio definiti da Platone: c’è la madre, ciò che riceve ed è generato. È la natura-Prakriti, potenza generata a imitazione di Purusha, il padre, da cui riceve il seme che dà vita al figlio, la manifestazione che ne deriva, che riceve a somiglianza di entrambi i genitori (T 50D).
Questo primo principio materiale è ancora privo di forma, ma fungendo da impronta di tutte le cose generate, contiene in potenza tutte le forme, ma è di per sé priva di forma (T 50E)

Ancora salta all’occhio il parallelo con la visione vendica di Samkhya e Yoga Sutra, in particolare con il concetto di asana “comoda e stabile” (YS II, 29), ma priva di una forma precisa: è l’essere che ha trovato il suo perfetto equilibrio e si è riconnesso con il principio universale. Un essere che può assumere qualsiasi forma, sia essa fisica, respiratoria o mentale, ma si tratta di una “non forma“, in quanto il distacco dalla realtà fenomenica la rende inavvertibile e inavvertita. E’ uno stato di benEssere assoluto, uno stato mentale in cui non si avverte alcuna necessità di movimento o azione: una condizione di omeostasi con il tutto che si realizza essenzialmente negli stati meditativi. Le forme esteriori delle asana descritte in tradizioni yogiche più tarde, come l’Hatha Yoga Pradipika, sono modalità per uscire dagli schemi abitudinari, dalla ripetizione acritica di gesti e comportamenti, e che aiutano a raggiungere lo stato di dharana, la concentrazione anticamera della meditazione vera e propria. Il numero di asana descritte dai testi della tradizione dello yoga è, peraltro, molto ristretto rispetto a quelle oggi comunemente utilizzate nella pratica. Asana, come l’impronta platonica, non è qualcosa che si può cogliere coi sensi (T 51A), anzi richiede il distacco da essi, deve essere “al di là di tutte le forme” (T 51A).
Il ricettacolo-madre natura, quindi, è invisibile e amorfo, accoglie in sé tutte le forme in potenza, e “partecipa in modo assai complesso dell’intelligibile“: a seconda dell’elemento sottile che prevale nel momento in cui l’impronta dà forma al principio materiale, esso acquista quella qualità, in modo analogo a come le diverse mescolanze dei Guna determinano l’essenza delle cose generate secondo il Samkhya. L’intelletto, Buddhi, è il primo evoluto manifesto, e da esso si diparte l’intera sequenza della creazione, in modo analogo a quanto descritto dal filosofo greco: a seconda della mescolanza dei quattro elementi, e della preponderanza di uno sull’altro, le cose del mondo assumono l’apparenza di cosa solida, liquida, aeriforme, o di energia (T 51B)
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