SK 24 – Salute e malattia secondo Platone

Camminare nel mondo esenti da desideri e aspirazioni, privi di beni e di cose “mie”, liberi da superbia, per raggiungere lo stato del Sè. (Bhagavad Gita, cap. 2)

Le malattie del corpo si generano dagli elementi

Ai quattro elementi corrispondono, per Paltone, quattro diversi grandi raggruppamenti di malattie. Il primo deriva da un eccesso, da un difetto o da spostamenti contro natura degli elementi stessi dalla loro sede naturale, o ancora dal fatto che l’elemento “riceva” qualità diverse da quelle che gli competono. E’ il concetto del simile che cura il simile: si può stare bene solo se la “cosa“, l’elemento costitutivo, rimane “identica a se medesima” in modo tale da aderire pienamente alla propria natura (T 82 A-B). Rimanere se stessi, senza farsi tirare nei vortici delle passioni che abbiamo già discusso, e che creano situazioni distoniche tra gli elementi con la conseguente comparsa della malattia. Si potrebbe facilmente ritrovare in questo passaggio del Timeo un parallelismo con il permanere nella situazione dell’osservatore distaccato propria dello yoga, che osserva il proprio Sè fino a raggiungere la completa fusione con esso, e perdendo via via lungo il cammino l’identificazione con la realtà illusoria.

Il Samkhya assegna alla natura lo sforzo di guidare l’anima lungo la via della liberazione, ovvero dell’auto-guarigione: una guarigione da intendersi non tanto in senso strettamente pato-sintomatologico, ma piuttosto una vera e propria “guarigione interiore” che permette alla persona di essere sé stessa in ogni situazione, proprio come indicato anche da Platone. La natura svolge questo effetto partendo dall’intelletto, Buddhi, fino ad arrivare a coinvolgere gli elementi grossolani (S.K. 56), altro elemento di parallelismo con il Timeo. Un’azione completamente disinteressata da parte della natura, volta unicamente a mettere a disposizione dell’anima gli elementi costitutivi (sattva, rajas e tamas) di cui l’anima è sprovvista (S.K. 60). La natura è il nutrimento stesso che permette all’anima di “crescere”, proprio come il latte è il nutrimento del vitello (S.K. 57). La sua azione si svolge al livello immanifesto (Avyakta), specifica il Samkhya, in modo non dissimile dai desideri che guidano le azioni nella realtà quotidiana (S.K.58). Il desiderio che guida la natura, però, appartiene a un ordine superiore di cose, essendo rivolto a riunire l’anima mortale con quella divina: quando ciò trova compimento nel raggiungimento della liberazione, la natura cessa la sua attività sul palcoscenico del reale, esattamente come una danzatrice che ha finito la sua esibizione (S.K. 59).

La natura è sensibile come una giovane pulzella: quando sa di essere osservata, subito sfugge allo sguardo dell’anima (S.K. 61)

Ninfee in fiore alla palude Brabbia

La riunificazione tra Purusha e Prakriti, tra l’anima divina e anima mortale platonica, ha luogo quando l’anima mortale/purusha individuale riconosce, tramite discriminazione e ragionamento da parte dell’intelletto, il fatto che la natura stessa è stata discriminata da parte dell’intelletto, considerandola qualcosa altro da sé. Il purusha individuale è una combinazione del Purusha universale con il linga, l’anima che trasmigra al termine di ogni ciclo di manifestazione. In questo riconoscimento si esplica il concetto chiave del drashtu, il permanere nella condizione dell’osservatore distaccato.

Gli altri gruppi di malattie

Il secondo gruppo deriva da una composizione “invertita degli elementi che costituiscono le diverse parti del corpo. Ne è causa una cattiva alimentazione, o una cattivo metabolismo degli alimenti, che causano un apporto scorretto dei triangoli elementari necessari per mantenere l’omeostasi dei diversi tessuti. Il sangue dà luogo ai nervi con la sua parte fibrosa, alle carni  a partire dalla coagulazione della parte liquida. Se la carne va in putrefazione si producono pus e bile, che finiscono in circolo avvelenando l’organismo. Questo tipo di meccanismo è, per Platone, la causa delle malattie gravi (T 82 C-83A). Il filosofo distingue tra tipi diversi di bile, di colore diverso e che producono effetti diversi nell’organismo, sulle quali non ci interessa scendere nel dettaglio in questa sede (T 83 B-E). Anche le vesciche, l’essudato in esse contenute, il sudore e le lacrime sono secrezioni formate a partire dalla bile e che possono portare con sé malattie. Oggi sappiamo che molti virus e batteri viaggiano proprio grazie a questo tipo di veicoli. Il grado di infezione di carni, nervi e tendini è variabile, fino alla contaminazione del midollo, che rappresenta per Platone la forma più grave di malattia in quanto porta inevitabilmente alla morte (T 84 A-C).

Il terzo gruppo di malattie deriva da una triplice causa: dall’aria, dal catarro e dalla bile. Si tratta delle malattie delle vie respiratorie, che possono portare all’insufficienza respiratoria che crea “pressione sul diaframma“. Sono malattie, spiega Platone, che spesso provocano dolore, tensioni, e sudorazione abbondante. A questa categoria appartengono le malattie tetaniche e le febbri, ma anche l’epilessia che, secondo Platone, sarebbe dovuta a un mescolamento della “pituita bianca” (il catarro) con la bile nera. La mistura risultante contamina la “divina” circolazione cerebrale: non a caso, l’epilessia è detta anche “malattia sacra” (T 84D-85B). L’infiammazione è un prodotto della bile, che se trova sfogo verso l’esterno provoca i tumori, ma se rimane imprigionata all’interno del corpo genera appunto infiammazione, la più grave delle quali risulta da una contaminazione del sangue (sepsi). Se la bile viene vinta, per fuoriuscire dal corpo “come un fuggiasco da una città in rivolta” può usare vie spiacevoli e che causano problemi intestinali come la dissenteria (T86A).

Se, invece, riesce a penetrare nel midollo si sciolgono i legami dell’anima, che diventa libera di navigare in libertà (T 85E)

L’eccesso di uno degli elementi provoca diversi tipi di febbri, che Platone divide rispetto al tempo di ricorrenza: quotidiane se derivano dal fuoco, terzane da eccesso di acqua, quartane per eccesso di terra (T 86B).

Le malattie dell’anima

Anche l’anima si ammala, la sua tipica malattia per Platone è la dissennatezza, che può assumere due forme: la follia e l’ignoranza. Questo è un passaggio fondamentale nel tratteggiare il parallelo tra Timeo e Samkhya, in quanto il filosofo greco esplicita gli effetti di piacere, dolore e attaccamento sulla salute della mente umana, in totale analogia a quanto già discusso a proposito dei klesha che si originano dalle impressioni sensibili e che offuscano la possibilità della retta conoscenza.

Per Platone, infatti, dolori e piaceri eccessivi sono tra i mali più grandi che affliggono l’uomo. La fretta di prolungare il piacere e sfuggire il dolore può portare fuori di senno, provocare rabbia, fino a perdere la retta via (T 86C)

La ragione, ovviamente, va intesa nel senso di Luce dell’Anima divina, ovvero l’intelletto discriminante Buddhi, che permette di conoscere la vera essenza dell’essere umano tanto per Platone quanto per il Samkhya. Un essere umano che è tutt’uno con la natura in cui vive, quanto di più lontano dall’idea di uomo immortale che la medicina gemmata dall’idea illuministica di ragione e scienza “razionale” ha creato nell’ultimo secolo. Ormai siamo arrivati all’homo chippiens, a sistemi di microfluidica in grado di replicare il funzionamento del network complesso di sistemi e funzioni d’organo che costituiscono l’essere umano, alla stampa 3D di interni organi o altre parti del corpo da utilizzare per i trapianti, e anche l’ipotesi di un trapianto completo di testa non è poi così campata per aria…Ogni volta che leggo queste cose mi chiedo cosa direbbero i saggi rishi o Platone a riguardo, che tanto tempo hanno speso a speculare sull’essenza profonda dell’essere umano per trovare la chiave per la salute, sia in questo corpo mortale che per quella eterna. Una chiave che non è nascosta all’interno di alcun trapianto o intervento salvavita, ma piuttosto nella capacità di andare incontro serenamente alla morte, ben sapendo che quello che muore è solo l‘involucro esterno, il vestito che ci ha accompagnato in questa vita e che come tutti i vestiti alla fine si è talmente liso che non sta più insieme. Ma il resto dell’essere, l’anima mortale di Platone, i corpi respiratorio, mentale e spirituale dello yoga hanno la certezza di una nuova vita. In che forma, lo vedremo in una successiva puntata del racconto.

Il cavaliere, la morte e il diavolo (Albrecht Durer) (pubblico dominio, wikimedia)

Per il momento, affido il mio testamento biologico a queste pagine: desidero morire il più in fretta possibile e senza essere ridotta a vegetare o venire sezionata per scopi (i trapianti) che con la vera vita hanno per me ben poco a che spartire. Il mio futuro dipenderà da come la mia anima lascerà questo corpo: se anche un minuscolo pezzetto di esso non sarà morto insieme a tutto il resto, ma continuerà a vivere in un altro corpo, la mia anima non potrà completare il distacco dal corpo in modo sereno e completo. Un distacco che desidero essere il più naturale possibile, senza alcuna forma di accanimento terapeutico che mi trattenga qui un secondo in più, un respiro in più, di quanto non sia stato stabilito nel momento stesso della nascita. Il superamento di abhiniveśa, l’attaccamento alla vita (uno dei cinque klesha), è un passaggio fondamentale verso l’obiettivo di lavorare al fine che l’anima mortale si ricongiunga a quella divina.

Educazione alla salute

Tornando al seminato, l’attaccamento alle passioni è motivo di grandi piaceri e dolori anche per Platone, e a causa di ciò la persona corre il rischio di essere additata come malvagia, pur essendo l’anima malata a causa dei comportamenti del corpo. La malattia dell’anima si genera quando gli umori che affliggono il corpo non trovano sfogo all’esterno, e le loro esalazioni si mescolano quindi col movimento tipico dell’anima. Un meccanismo che ricorda le vritti, i vortici che agitano la mente e che derivano dall’attaccamento del corpo (e della mente stessa) alla realtà esterna (T 87A). Le vritti, per gli Yoga Sutra (YS, II 50 e III 43) sono anche legate alla fase del ciclo respiratorio, tutto pieno, tutto vuoto o intermedio alla base di molte tecniche di pranayama e di meditazione.

Il sacrificio può trovare molti modi per essere realizzato, ad esempio attraverso il pranayama che regola il respiro e l’energia vitale di conseguenza, ovvero tramite un’alimentazione controllata o mettendo da parte dal vita mondana a favore di quella spirituale. Quale che sia la via prescelta da ciascuno, i frutti dei sacrifici compiuti permettono di lavare via i peccati e gustare il nettare dell’immortalità (Bhagavad Gita cap. 4)

Il raggiungere il momento della morte in una o l’altra di queste fasi può avere, per lo yoga, un effetto diverso sul destino dell’anima che lascia il corpo. Non è solo la malattia del corpo a causare la malattia dell’anima, c’è anche un’altra causa per Platone: l’essere cresciuti senza ricevere un’adeguata educazione (T 86D-E). Il filosofo greco, da questo punto di vista, attribuisce la maggiore responsabilità ai genitori e agli educatori per l’incapacità di trasmettere una buona educazione, piuttosto che ai giovani discenti, ai quali riserva però un compito ben chiaro e difficile da perseguire:

Rifuggire dal male e scegliere il bene è l’obiettivo da perseguire attraverso l’educazione, gli insegnamenti e tutte le attività quotidiane (T 87B)

Appare chiaro il parallelo con l’esordio del Samkhya: ci vuole impegno (tapas) per progredire verso la retta conoscenza che permette di scegliere il bene, staccandosi dai legami creati dalle passioni che, viceversa, conducono verso il male. Una conoscenza che può essere acquisita, sia per Platone che per Isvarakrśna, attraverso l’attività, ovvero l’esperienza diretta del mondo che permette di raccogliere sensazioni e inviarle a Buddhi, l’anima razionale platonica. La buona educazione permette di discriminare tra bene e male, indirizzando quindi al meglio le proprie azioni. L’educazione passa spesso anche dallo studio dei testi autorevoli. Infine gli insegnamenti, che per lo yoga tradizionalmente sono trasmessi per via orale da allievo a discepolo, una prassi tipica anche di molte scuole filosofiche greche, per lo meno per quanto riguarda la trasmissione delle parti più esoteriche della dottrina.

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