SK 18: Vyakta e Avyakta, conoscere le forme della realtà per non soffrire

Nasce l’uomo a fatica, / Ed è rischio di morte il nascimento. / Prova pena e tormento / Per prima cosa; e in sul principio stesso / La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato. […]
Intatta luna, tale / È lo stato mortale. / Ma tu mortal non sei, / E forse del mio dir poco ti cale… 
(Giacomo Leopardi, Canto di un pastore errante dell’Asia, 1829)

La conoscenza come mezzo di guarigione

Il Samkhya Karika esordisce, apparentemente, senza offrire molte opportunità di scelta per l’essere umano, là dove afferma che l’uomo è afflitto da tre tipi di sofferenza (SK 1): una sofferenza per cause esterne, una sofferenza di tipo organico dovuta a cause interiori, sia essa fisica o mentale, e una sofferenza di ordine superiore, relativa al Sé, la cui origine non può essere individuata e descritta con precisione. E’ proprio questa oppressione causata dalla sofferenza, però, la molla che fa scattare nell’uomo un desiderio di conoscenza dei mezzi adatti a prevenire e rimuovere la sofferenza. Tali mezzi, specifica il Samkhya, non sono quelli “evidenti“, ben noti a tutti, che hanno solo un valore relativo e portano solo a soluzioni temporanee, mai definitive, del problema. Il problema è che l’uomo, impregnato com’è dalla realtà sensibile in cui vive ed opera abitualmente, una realtà che genera piacere, attaccamento, repulsione, ha accesso  diretto solo ai “mezzi evidenti”, che soffrono gli stessi problemi di fondo dell’intera realtà sensibile (SK 2): sono di per sé impuri, in quanto legati al sacrificio rituale degli animali (pratica purificatoria tipica dei tempi in cui è stato scritto il Samkhya); sono soggetti a esaurimento, in quanto alla fine di ogni èra cosmica gli dèi, a cui erano destinanti tali sacrifici in nome della liberazione dalla sofferenza, sono destinanti ad essere sopravanzati dal tempo; comportano un’eccedenza, in quanto la supremazia di pochi genera sofferenza nei molti.

Tutti i mezzi rivelati soffrono le stesse limitazioni della conoscenza. L’unica fonte attendibile di conoscenza è l’intelligenza discriminativa che permette di distinguere le sottili differenze tra ciò che è manifesto, ciò che è immanifesto e la reale natura del conoscente (SK 2)

La trasmissione dei Veda
La trasmissione dei Veda

Queste due strofe del Samkhya costituiscono le fondamenta dell’intera disciplina dello yoga: da questa constatazione, infatti, parte l’investigazione circa la composizione e la struttura dei macrocosmi universali e dei microcosmi umani, un’investigazione che ruota tutta attorno ai tre principi cardine da elucidare: le nozioni di Vyakta, ciò che è manifesto, la realtà sensibile, e Avyakta, ciò che è immanifesto, la realtà assoluta, e Jna, la “conoscenza delle conoscenze” per usare l’espressione del dottor Bhole, la conoscenza discriminativa del conoscente.

La conoscenza discriminativa svolge un ruolo fondamentale anche per Platone, che nel Timeo approfondisce le caratteristiche di due diverse forme di conoscenza: la prima, la percezione mediata dal corpo, permette di conoscere le cose sensibili, corrisponde all’opinione e non porta alla conoscenza della vera realtà delle cose. E’ la conoscenza acquisita coi mezzi evidenti del Samkhya. L’intelligenza, invece, genera conoscenza non mediata dai sensi, che si produce in modo indipendente e riguarda la forma “intellegibile” delle cose, una forma che può essere solo pensata (T 51C-E). E’ la conoscenza superiore e discriminativa del Samkhya. Diversi sono anche i mezzi che portano ai due generi di conoscenza, insegnamento e persuasione. L’insegnamento va sempre di pari passo con il ragionamento veritiero, è fermo e stabile nelle sue conclusioni, non cambia a seguito di persuasione, è tipico degli dèi e di pochi eletti tra i mortali (T 51E) e conduce alla contemplazione della realtà assoluta, ingenerata e imperitura, non percepibile dai sensi, da parte dell’intelletto (T 52A). La persuasione, invece, è irrazionale e mutevole, accomuna tutti i mortali e conduce alla conoscenza della realtà sensibile, generata e mortale in quanto in continua trasformazione, attraverso l’opinione che va di pari passo alla sensazione.

I klesha agiscono nella Ruota della Vita (credits: RigpaWiki)
I klesha agiscono nella Ruota della Vita (credits: RigpaWiki)

Due mezzi di conoscenza che si pongono il primo in parallelo al cammino di ascesi spirituale dello yoga che, attraverso il passaggio attraverso gli otto angha, permette di elevarsi e trascendere la realtà sensibile per ritrovare il contatto con il puro Sè, la realtà assoluta delle cose. Già abbiamo detto del ruolo del Maestro e dei Testi autorevoli quali fonti di insegnamento per indirizzare tale cammino, in cui Buddhi, l’intelletto discriminante, ha come per Platone il ruolo fondamentale di ponte tra manifesto e immanifesto. La persuasione, invece, può essere assimilata agli inganni messi in atto dalla conoscenza basata sui sensi, che crea un’immagine alterata della realtà, un’immagine che risente fortemente delle colorazioni impresse dai klesha, i fattori irritanti, e che, pertanto, distoglie dal cammino verso l’assoluto.

Lo spazio, la terza forma del reale

 

La galassia Andromeda fotografata ad altissima risoluzione dal telescopio Hubble (credits: NASA, ESA)
La galassia Andromeda fotografata ad altissima risoluzione dal telescopio Hubble (credits: NASA, ESA)

Esiste poi, per Platone, un terzo genere di realtà, lo spazio, che è eterno e contiene tutte le cose generate. Lo spazio non è determinabile né definibile attraverso i sensi, né gli si addice il concetto di ordine. Per Platone la sua conoscenza è “spuria”, in quanto esso può essere a mala pena oggetto di persuasione. Qui Platone offe un enunciato che ricoda molto da vicino la definizione scientifica di materia:

Guardare allo spazio fa sognare, e spinge a dire che tutte le cose esistenti devono trovare una propria collocazione nello spazio. Ove ciò non accada, la cosa non esiste, esiste solo il nulla (T 52B)

L’effetto che il sogno porta con se, al mometo del risveglio, è di non saper più distinguere le immagini sognar l’una dalle altre, si mischiano in modo indistinto rigenerandosi in un flusso continuo, come ombre di altre cose (T 52C).  Nello stato di veglia, invece, la ragione permette di discriminare e distinguere tra cose diverse, che restano sempre ben distinte tra loro, non ci può mai essere mescolanza. (T 52D).

Purificare per ritrovare l’ordine interiore

Ora, questi tre generi, essere, spazio e generazione, sono per Platone presenti già prima che si generasse il mondo. Essi corripondondono ad Avyakta, lo stato immanifesto della realtà, la realtà assoluta di Purusha che si sostanzia in Prakriti, il ricettacolo spaziale di tutte le cose. È da questo ricettacolo che, a cause del disequilibrio tra le forze che su di esso agiscono e lo scuotono, si genera la realtà sensibile Vyakta (T 53A).

Una creazione, quella della realtà manifesta, che gioca con tutte le forze della natura e con tutti gli elementi, e che di conseguenza produce la molteplicità di forme dell’universo che conosciamo  (T 52E)

Vulcano alle Hawaii (Foto di Adrian Malec da Pixabay)

Fuoco e acqua “nutrono” la creazione, terra ed aria apporatano forma: come un vulcano erutta fuoco e plasma a nuovo il paesaggio, o il fiume disegna anse sinuose e via via sempre più profonde, o le nuvole e gli alberi prendono forma mossi dal vento, o il tempo cambia a causa delle variazioni della pressione atmosferica. Gli elementi, attraverso i loro cicli geologici, stanno plasmando il pianeta e l’intero universo fin dall’inizio dei tempi. Energia dal fuoco e dall’acqua, calore e lavoro, grandezze alla base dell’intera termodinamica che regolano le possibilità di modificare la realtà sensibile.

Solvae et coagula (dettaglio del Rebis, A. Khunrath, 1602)
Solvae et coagula (dettaglio del Rebis, A. Khunrath, 1602)

Un’opera che per Platone porta a separare ciò che è denso e pesante da ciò che è rarefatto e leggero, portando a comprimere ciò che è simile e a separare ciò che è diverso, in una disposizione “senza ragione e senza misura” (T 53B) disordinata, entropica. È solo quando il demiurgo decide di mettere ordine nell’universo che anche i quattro elementi ritrovano una situazione ad essi più confacente, proprio come per il sencondo e il terzo principio della termodinamica, che abbiamo già discusso nel dettaglio, l’intero universo evolve in modo spontaneo verso stati di minore entropia. Una purificazione lenta, attraverso ripetuti passaggi di dissoluzione della materia e precipitazione della frazione densa, che viene decantata via per ottenere, ad ogni passaggio, uno stato più puro, più elevato in quanto più ordinato, della materia. Le impurezze, infatti, inserendosi nelle precise geometrie atomiche dei reticoli cristallini, le alterano e le distorcono, impedendo la disposizione ordinata degli atomi nel solido geometrico. Ecco allora che la separazione della parte densa e pesante permette alla materia di diventare più “leggera”, di ritrovare quell’ordine tipico di ciò che è simile e che proprio per questo può “comprimersi”, impacchettarsi, in forme spaziali ben precise e di cui parleremo meglio in un post successivo.

Le tre fasi dell'Opera, Nigredo, Albedo e Rubedo
Le tre fasi dell’Opera, Nigredo, Albedo e Rubedo (Splendor Solis)

Anche lo yoga contempla precisi percorsi di purificazione (shuddi) a diversi livelli dell’essere: a partire dalla purificazione del corpo fisico, per procedere gradualmente verso l’interno per rimuovere le impurità anche dai corpi respiratorio-energetico, emozionale, mentale e spirituale. Proprio questo è lo scopo delle otto tappe del cammino di evoluzione yogica, gli otto angha, che partendo dalle regole etiche e morali di condotta codificate negli Yama e Niyama permettono, qualora si riesca a permanere in piena consapevolezza in tali stati “anche per poco tempo” (anu), di ridurre le impurità e di sviluppare Viveka, la capacità di discernimento che è alla base della conoscenza di ordine superiore (YS II, 28).

 

Vyakta e Avyakta, le due facce della realtà

L’approccio conoscitivo proposto dal Samkhya deve essere conquistato per gradi, attraverso la pratica continua e piena di tapas, l’ardore della ricerca interiore, che porta dapprima a conoscere meglio le caratteristiche della realtà fenomenica in cui viviamo, Vyakta, ciò che è conosciuto. Lo studio di quanto già disponibile, in quanto dispiegato nel libro aperto della Natura manifesta, apre la porta per la successiva conoscenza di Avyakta, ciò che non è conosciuto: le leggi che governano l’intera struttura della vita, della natura e dell’universo. L’ultimo stadio della conoscenza, il più complesso da conseguire, è la conoscenza di Jna, Colui che conosce, la radice della conoscenza, il Sé-Demiurgo-Purusha. Risalendo dal manifesto al non manifesto, la conoscenza porta a ricercare la causa primaria delle cose, il “seme” da cui è nato l’albero della vita e che permette di comprenderne l’intera evoluzione. Un seme che risiede a livello di Mula-Prakriti, la prima manifestazione indifferenziata della Natura posta ancora al livello immanifesto della realtà.

Vishnu in forma di Yoga Narayana, l'impersonificazione dell'obiettivo dello yoga
Vishnu in forma di Yoga Narayana, l’impersonificazione dell’obiettivo dello yoga

Il Samkhya elenca nel dettaglio i punti di differenza che permettono di cogliere la distinzione tra manifesto e immanifesto (S.K. 10). Innazitutto, l’immanifesto – Avyakta è incausato, eterno, ingenerato, corrisponde a Prakriti, la causa primaria di tutte le cose. Ciò che non è manifesto semplicemente “è“, non ha nessuna causa alle sue spalle; è la causa originaria a cui corrispondono, a livello manifesto – Vyakta, Vikriti, gli effetti da essa prodotti, generati, finiti nel tempo. Tutto ciò che è manifesto ha una sua causa, e globalmente esse sono note con il termine di Karana. Sono i comportamenti, le azioni messi in atto da ogni individuo in accordo con il suo tipo psicofisico. Solo ciò che è correlato con la costituzione individuale può essere compiuto in nessuna circostanza. L’attività dei Karana è spontanea, come se volessero soddisfare un impulso naturale legato agli organi correlati al conoscere, percepire e desiderare. I karana sono i componenti del linga, non sono organi del corpo, anche se il linga vi abita e lavora attraverso di essi. In totale sono tredici: i tre strumenti interiori antahkarana (Buddhi, Mahat e Ahamkara, a cui si aggiunge Manas, il senso interno) e gli strumenti esteriori bahyakarana, i dieci Karma e Jnana Indriya. La sofferenza Dukha (Heya per il buddismo) ha una sua manifestazione. Hetu è la causa di questa sofferenza. Gli Yoga Sutra (YS II, 17, Drastr – Drsyayoh Samyogo Heya – Hetu) ci insegnano che proprio questa è la causa che genera la sofferenza, quella che va evitata: l’identificazione tra chi vede e chi è visto, tra soggetto, testimone, osservatore e oggetto dell’osservazione, della conoscenza che è il fine ultimo del cammino.

Vyakta ha una durata temporanea e limitata (anitya), mentre l’immanifesto è perenne (nitya): tutte le azioni hanno una durata limitata nel tempo, per quanto importanti esse possano essere. Così, se parliamo correndo o salendo di corsa le scale a un certo punto andiamo in affanno, perché l’azione del contrarre le corde vocali ha raggiunto l’apice dello sforzo. Il tono muscolare e il respiro invece, insegna il dottor Bhole, ci sono dati con la nascita e perdurano fino alla morte, sono incausati: il lavoro sul tono muscolare e sul respiro, in quanto presenza diretta dell’immanifesto incausato, permettono di prevenire e limitare la sofferenza molto di più che il lavoro su movimento volontario e parola, questi ultimi effetti manifesti. L’azione (satkriya) è un’altra delle caratteristiche del manifesto Vyakta, mentre il contatto con Avyakta, l’immanifesto, lo si ritrova nell’immobilità. Vyakta, inoltre, è scomponibile in parti (avayava), mentre Avyakta è uno e continuo. Esso non richiede nessun “supporto”, è illimitato e pervasivo, mentre il manifesto è dipendente (paratantra), in quanto esiste al servizio di altri…per il bene dell Purusha, per realizzare gli obiettivi del Demiurgo.

© Nisbacat – RIPRODUZIONE RISERVATA

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